Tuffi/96
Mio fratello Edoardo Prati, Lorenzo Innocenti, destra ieri vs. destra oggi, populismo budgetario
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
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In questi tempi bizzarri che ci è dato vivere, c’è uno strano e quasi paradossale rapporto tra la sterminata frammentazione della realtà mediatica, e allo stesso tempo un rigidissimo palinsesto di megatrend interpretativi - testimonianza del fatto che l’egemonia è ancora un concetto utile, anche in un’eventuale ipnocrazia (v. Tuffi/95), cioè anche quando i nuovi egemoni cercano di vendersi come semplicemente “più liberali, più democratici, più aperti alle alternative”.
In questi tre anni di guerra siamo stati forse il paese dell’Europa occidentale più “aperto” a mantenere o a ripristinare un’idea positiva di Russia, o almeno non disposti a concepire il popolo russo come essenzialmente malvagio. Da cui, se già l’idea di fare una guerra ha abbandonato questi lidi da 80 anni, ancora meno poteva nascere l’idea di fare guerra ai russi, cioè farsi usare dalla Nato per una guerra poco in linea con i nostri affetti, innanzitutto letterari.
Russia e Nato tre anni fa approfittarono del vuoto lasciato dalla Merkel per aprire una ferita inaudita al bordo dell’Europa. Allo stesso modo, la malattia di Papa Francesco e la conseguente debolezza della diplomazia vaticana hanno permesso un duplice attacco. In alto, Trump e Putin giocano a umiliare l’Europa. In Italia, vari tromboni pappagorgisti (copyright di Paolo Mossetti, ma vorremmo venisse presto inserita nel vocabolario italiano) in crisi di terza età hanno preso a scrivere lunghi e goffi editoriali per convincerci ad andare in guerra, e in particolare per andare in guerra contro la Russia.
Il grande problema dell’Europa è che i famosi baby-boomer del dopoguerra non sono più genitori ma nonni. I nonni che ci imbottivano di cibo perché avevano visto la guerra sono quasi tutti in cielo. I nuovi nonni hanno in testa uno strano mix di senilità, botulino, nostalgia di una durezza che non hanno mai provato e leggerezza anagrafica per non poterla più provare in trincea, aggressività repressa e frustrata per 80 anni vissuti a consumare il piano Marshall senza aver avuto il coraggio di chiedere neanche una basetta americana in meno sul territorio.
Lorenzo Innocenti, politologo internazionale e giovane leva della politica veneta, già allievo del brillante vaticanista prof. Schiavazzi, sostiene da tempo che se l’Italia ha una carta da giocare sullo scacchiere internazionale è la presenza del Vaticano. Non sarà quindi il dibattuto puntoemezzo di spesa in più per armamenti (che al momento, come ricorda anche Mario Draghi, andrebbero sempre nella cascina Nato e del suo socio di maggioranza), né altri fantasiosi progetti, bensì il fatto di ospitare il capo della Chiesa Cattolica, istituzione bimillenaria che esercita ancora un certo ascendente sui suoi 1,3 miliardi di fedeli.
Nella temporanea assenza di Papa Francesco, mi piace pensare che il testimone sia stato raccolto da un piccolo Papa ad interim, Edoardo Prati, che domenica scorsa ha fatto un discorso straordinario e coraggiosissimo a Che Tempo Che Fa. Non perché sia coraggioso parlare di pace invece che di guerra, ma perché è coraggioso sfilarsi dal coro cool e mortifero delle grandi penne, e rischiare di fare la figura di Miss Italia. Sgomberiamo subito il campo da infantili satirelle anagrafiche o snobismi accademici di provincia. Edoardo Prati, classe 2004, divulgatore culturale sui social, timbro di voce di Camilleri, ha letteralmente preso il posto del Papa nell’invitarci a spingere la notte un po’ più in là, non tramite parabole bibliche ma con una raffinata citazione delle Mille e una notte.
Certo che gli uomini storicamente si fanno anche la guerra, certo che esiste anche il male. E certo che, possibilmente sottobanco, sarebbe bello armarsi fino ai denti e cacciare tutti gli invasori, ma è innanzitutto necessario sottrarre l’opinione pubblica di massa al megatrend interpretativo della guerra inesorabile.
Per par condicio, pubblichiamo un meme di segno politico opposto - non condivisibile ma molto simpatico (grazie Carlo)
In chiusura, citiamo un episodio di attivismo giornalistico bruttino. Mario Calabresi, direttore di Chora media (che fa anche tante cose buone), forse invidioso della manifestazione di Repubblica ha lanciato la sua proposta politica: spendere l’1% in meno del piano ReArm Europe, e dare quei soldi (8 miliardi di €) alla cooperazione internazionale europea.
Detto che è giusto fare cooperazione, ed è saggio volersi infilare nei vuoti di soft power lasciati dal ritiro americano (ove questi vuoti siano reali e non solo sbandierati), diciamo basta a questo sensazionalismo del confrontare mele con pere. Esisteranno sempre cause giustissime per sottrarre i soldi a qualcosa e darli a qualcos’altro di più tenero e commiserabile, ma è un modo insensato di ragionare. Per chi si propone di fare giornalismo di alto livello, un’ottima trovata di marketing ma un servizio mediocre al pubblico: un cattivo esercizio di pensiero.