Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Trattato del complottista formale. I complottisti formali, cioè coloro che non si occupano dei Grandi Complotti, sono semplicemente degli idealisti, dei platonici, quelli che in altra sede furono definiti “tettisti”. I complottisti formali, light, sono gli ultimi romantici, gli ultimi appassionati all’intensità delle cose, delle intenzioni. Gli ultimi illusi, in un mondo di disillusi e rassegnati alla medietà del mondo. I complottisti non credono possa davvero essere tutto lì, davanti ai loro occhi, innanzitutto per la stima che nutrono per l’avversario. Avversario! non puoi essere stato così dilettantesco e superficiale - pensano. Preferiscono la bruttura massima di una sublime ed efferatissima macchinazione, piuttosto che dover accettare la bruttura mediocre dei cattivi reali, cattivi incompleti, sbadati, cattivi che probabilmente durante la giornata fanno anche piccole cose buone, lasciano attraversare qualcuno sulle strisce, tengono la porta se uno sta entrando subito dopo di loro. Questo è massimamente deludente, e quindi inaccettabile. Posso accettare di perdere, ma non di perdere davanti a gente così poco attrezzata. Posso perdere la competizione sul lavoro, ma non posso tollerare che quando io esco dall’ufficio voi non stiate tutto il tempo a confabulare su di me, andiate sempre d’accordo, etc. Posso sentirmi allontanato da un gruppo di amici, ma voglio sperare che poi almeno loro staranno sempre costantemente insieme. Non è che le persone smettono di voler stare insieme in generale, questo sarebbe troppo doloroso. Troppo adulto, troppo moribondo.
Per questo il complottismo è sì un’arte adolescenziale, ma che bisognerebbe coltivare - almeno in forme aerobiche - anche in età avanzata, senza vergogna. Come l’attività fisica, il complottismo light aiuta a rimanere giovani. Perché una vita sana è una vita equilibrata, e rinunciare tout-court alla tensione tra promessa e disillusione può andare bene solo agli ultimi sgoccioli di una vita generosa. Il cinismo va guadagnato con un cuore fatto almeno in mille pezzi.
Nella speranza, quasi una preghiera, che il trumpismo si riveli un bluff e la sacra lentezza dell’Europa per una miracolosa eterogenesi dei fini ci aiuti a navigare attraverso la tempesta di rumore, è comunque tornato sul tavolo il tema dell’Europa.
In questi giorni da più parti (del banco cd. ‘europeista’) si legge che non si può voler difendere un territorio se non ci sono dei confini chiari. Vale per gli Stati Uniti, dove Trump spinge sul culto del confine, ma vale ragionevolmente per ogni soggetto politico. L’Europa, che soggetto politico non lo è affatto, se davvero vorrà fare dei passi in quella direzione dovrà anche affrontare la porosità geografica che finora l’ha caratterizzata (a partire dalla strana dualità Europa/Unione Europea, v. Ucraina, Regno Unito, etc.).
Ma non vorrei impelagarmi in un discorso politico, per quanto attuale e urgente, che è ancora molto spinoso e su cui non ho ancora una posizione solida.
Vorrei parlare di un’analogia. Come non si può difendere una patria se non ci sono confini chiari, non si può difendere un’idea se non ci sono confini chiari intorno alla verità - e alla sua predicabilità.
Come ben spiegato da vari giornalisti qualche settimana fa (v. ad esempio Ezra Klein), la strategia del secondo mandato Trump è molto chiara e fu delineata da Steve Bannon - tra i teorici di MAGA - tempo fa: annegare l’attenzione pubblica nella me**a, cioè riempirla di un flusso indigeribile di informazioni, non solo esagerate ma se possibile tecnicamente assurde, o inconciliabili tra loro. Insomma intimorire non tanto le posizioni concrete degli avversari, ma la stessa capacità di comprensione di quello che accadendo, degli avversari e anche dei sostenitori. Ogni resistenza deve potersi allineare davanti a una linea nemica univoca, fosse anche la più abietta. Ma qui è l’unicità della linea che si sta cercando di far scomparire. Un libro a cui non so più come sono arrivato (mi scuso con il suggeritore ignoto), Hypnocracy, profetizza che l’uso mirato delle singole fake news sia una tecnologia desueta e che cederà presto il passo a uno stato di ipnosi tecnologica in cui lo spettatore non può fare altro che sospendere i criteri di verificabilità. Una specie di stato informativo quantico, in cui è vero sia ‘0’ che ‘1’. Ma il nostro cervello è estremamente non-quantico, e se viene immerso in questa indecidibilità si deprime, si dispera, si disinteressa alla realtà e lascia agire il sovrano senza nessun controllo. Se c’è un tentativo di assolutismo nel nuovo mandato Trump, è il tentativo di slegarsi e assolversi dalla conoscibilità univoca delle proprie azioni.
Piccolo inciso sul famoso video generato da IA con Trump a Gaza. Rispetto ai “meme” classici, mi pare che l'IA possa svolgere un ruolo nuovo. I meme sono stati finora il frutto stratificato di un'intelligenza collettiva, ma hanno almeno un’ultima mano ben identificabile, la mano del memer, che ne è responsabile. Invece guardando il video di Trump a Gaza si ha l'impressione che Trump non ne sia pienamente responsabile, non si possa del tutto inchiodare a quelle immagini. Al di là del piano politico, parliamo innanzitutto di responsabilità agentiva. L’IA si configura come un’attenuante, un complice perfetto con cui dividere ogni pena, un layer intrinseco che lascia un dubbio in più sul “vero” significato per chi lo condivide per primo, perché non ha neanche un “vero” piano scenico entro cui si muove.
Insomma, quello che temevamo qualche anno fa sui deep fake (ad esempio in finti contesti pornografici) si sta rivelando molto più temibile e pervasivo, nella forma più che nel contenuto. Il deep fake è molto più falsificante del semplice falso, innanzitutto per la sua infinita riproducibilità (”capacità di allagare”, diremmo in termini bannoniani). Il deep fake (etichetta che si può applicare al video di Trump a Gaza) getta un’ombra generale di falsità su tutto ciò che è intorno, compresa la realtà. Nell’èra del deep fake, è allettante la tentazione pigra di dire che la verità non è più pensabile. E questo qualunquismo, come è già stato detto da più parti, è il terreno mentale ideale per ogni aspirante sovrano assoluto.