Tuffi/57
Autonomia differenziata, Antipop, documentario Cosmo, edonismo postlavorista, successo vistoso, classe disagiata, anni subprime
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
L’argomentazione non è stringente dunque la poniamo solo in forma suggestiva: fa ridere un governo che millanta di voler ristabilire contatti col continente africano (piano Mattei) e poi taglia istituzionalmente i ponti con la parte d’Italia che verso l’Africa è la piattaforma naturale (oltre che storica e culturale). Il piano Mattei fatevelo dall’aeroporto di Orio al Serio (c0gl10n1).
Intermezzo comico:
Su Mubi, piattaforma di streaming online, c’è documentario molto bellissimo su cantante italiano Cosmo (ok la smetto subito di fare la voce di Janek Gorczyca). Insomma c’è questo documentario bellissimo, si chiama Antipop, dura una rapida oretta (misura ideale) e svela le origini di Cosmo, l’humus eporediese, la famiglia, la mamma (si parla molto della mamma, in termini molto commoventi per chi in generale vuole bene alle mamme), e da questi elementi e da quello che Cosmo ha detto e fatto in questi anni possiamo trarre alcune conclusioni. In ordine sparsissimo, come piace a noi.
Cosmo è l'unico referente di spessore della sinistra edonista postlavorista psicotropista italiana. Lato CV: base elettronica di livello internazionale; preparazione filosofica alle spalle (era compagno di Fusaro all'università); testi complessi (nel senso ormai diffuso (e sbagliato) di profondi), più speculativi che poetici. Insomma, formalmente è l'avanguardia mainstreamable che manca in molti altri ambiti, un passo davanti alla folla, cioè non due avanti né soprattutto duecento indietro. Dal lato sostanziale è Negrismo artistico: dimensione ludica dell'esistenza, esaltazione delle droghe, pacificazione in buona fede delle diversità, rimozione dei confini e dei conflitti identitari. A un certo punto del documentario dice “sogno la distruzione della gabbia delle identità”. In un altro punto “Vorrei vedere i corpi che si liberano, vorrei che fosse la base di una nuova politica”. Chiaramente questi aspetti sono problematici, con le solite difficoltà di scalabilità e in fondo realismo tout court che hanno queste idee. D'altronde non è ancora chiaro se la sinistra sia più utile quando si mette a tavolino con squadra e righello o quando invece “dà fastidio” e cerca di allargare i confini del dibattito.
Cosmo sembra avere una visione veramente mistica della musica. Lo dice più volte, il suo sogno è “scomparire dietro la sua musica”. Sembra essere una specie di profeta di questo ente trascendente, che non si inventa granché ma piuttosto scopre le canzoni, riporta alla luce i ritmi, e accetta questo suo ruolo passivamente, senza esserne troppo fiero, senza voler personalizzare. Come ogni artista deve necessariamente avere una fortissima considerazione di sé, ma sembra quasi sincero nel mettersi almeno al secondo posto dopo l’arte.
Senza spoilerare troppo, la trama del documentario è che Cosmo ha rischiato molto concretamente di fallire la sua carriera da musicista professionista. Ha iniziato a suonare al liceo con un gruppetto di amici, poi con i Drink to me, poi ha iniziato il suo progetto solista cantando in italiano (Cosmo). Anche in questa fase, per vario tempo non se lo filava nessuno al punto che aveva deciso che l’album “L’ultima festa” sarebbe stata proprio l’ultima festa, e poi si sarebbe messo a fare un lavoro normale. Sappiamo che non è andata così.
Devo fare un volo pindarico quindi chiedo un po’ di pazienza per collegare i punti. Alla fine del documentario (proiettato questa settimana a Bologna, con il regista Jacopo Farini e il musicologo Francesco Locane, che salutiamo), il discorso si è un po’ ampliato, proprio in relazione al rischiato fallimento del progetto Cosmo. Il regista Farini, interrogato sul suo libro preferito, ha scelto “Teoria della classe disagiata” di Raffaele A. Ventura (che tempo fa ci omaggiò di un suo Tuffo). La ben nota tesi di Ventura, riproposta da Farini, è che “oggi siamo ossessionati dal successo, pensiamo che tutti quanti potremo vivere di lavori e consumi culturali/terziari, mentre invece dobbiamo arrenderci al fatto che non è così e che molti di noi rischiano di essere declassati”. Discorso ormai diffuso (con tutte le imprecisioni che la diffusione spesso porta con sé) e accettato in larga parte. Eppure, avendo appena visto il documentario, saltava all’occhio la contraddizione rispetto alla biografia di Cosmo (o dello stesso Farini), persone che hanno insistito inseguendo il sogno e alla fine ce l’hanno fatta, e ne siamo contenti. E allora Farini ha dovuto tirare in ballo Il cigno nero di Nassim Taleb, il bias del sopravvissuto, etc.
Ok è troppo complicato ricongiungere bene i discorsi, spero si intraveda il senso. Innanzitutto bisogna dire a Ventura e a Farini che l’alea è incomprimibile, al di là della fase economica in cui si vive, e che tanto è vero il bias del sopravvissuto quanto è verissimo il bias del suicida: se ti ammazzi prima di giocare al gioco, sicuramente non vincerai.
Ma non è questo il punto. Il punto a cui voglio arrivare è che le nuovissime generazioni mi pare abbiano un’idea del successo abbastanza diversa da quella fine-novecentesca, impersonata dalla generazione/classe disagiata. Una generazione per la quale il Successo era una cosa quasi volgare ma una certa, cospicua dose di autorealizzazione gli era quasi dovuta dalla società; e finché il singolo non avesse coronato le sue aspirazioni più astratte e fanciullesche, erano tutte le persone intorno che dovevano sentirsi in colpa. Non c’era spazio per il fallimento, né per l’arbitrio, né per l’oculatezza delle scelte.
Oggi il gioco è dichiaratamente a somma zero: il successo è un’ossessione dichiarata, è fine a sé stessi e incardinato solo su sé stessi; la violenza del processo di costruzione del successo è più esplicita; i consumi sono di nuovo vistosi, i marchi sono bene in evidenza sulle magliette e sulle borse. Possiamo interrogarci sul dispiacere politico di questa situazione, ma mi chiedo e vi chiedo: almeno in termini di sostenibilità e coerenza logica, questo successo brutale e per pochi fortunati non è più onesto di quel sogno a somma positivissima in cui tutti potevano vincere la lotteria nello stesso momento, alla stessa estrazione, senza nessuna prevaricazione o spargimento di sangue? O forse, più semplicemente, la somma positiva era reale (sebbene sia stata un lampo nella storia dell’umanità) e quindi i sogni erano ben calibrati per l’epoca, e invece nell’epoca di oggi fanno bene i trapper e gli squaletti a combattere su Linkedin fin dal quarto anno di liceo?
Torniamo alla vignetta di Maicol&Mirko di Tuffi/55, il più sincero riassunto di questi anni subprime.
Me la passo bene.
- A scapito di chi?