Tuffi/55
Verso tappetino doccia, pigrizia elettorale, Robert Wilson, benessere a scapito, Alessandro Colombo
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Innanzitutto le cose importanti e che potranno restare anche quando noi non saremo restati.
Convenzione internazionale inequivocabile e irrevocabile sui tappetini fuori alla doccia: anche in casi di tappetino con lati apparentemente indistinguibili, stabiliamo di mettere il lato con l'etichetta rivolto verso il pavimento.
Cogliamo l’occasione per ricordare al gentile pubblico di rimanere a sgocciolare dentro la doccia, dopo aver chiuso l’acqua, per almeno 20 secondi.
A me alle elezioni piace arrivare impreparato. Come ai concerti di una band nuova di cui non ho ascoltato gli album. Vado innanzitutto sulla fiducia del consiglio di un amico, uno zio, un vecchio prof. So da tempo che il concerto si terrà nella tale data, e provo a dirmi “stavolta arrivo preparato, mi ascolto bene tutti i dischi” etc., ma alla fine non va mai così. Voto sulla fiducia e su pochissime informazioni; poi magari con calma mi appassiono, approfondisco.
Questa forza che mi impedisce di prepararmi bene alla chiamata elettorale noi oggi la chiameremo “pigrizia da continente post-storico”, in onore a Dario Fabbri.
Questo per dire che ho l’impressione di non star capendo molto delle tante sfide concrete che abbiamo davanti; provo a dire solo una cosa, ampia e teorica, e la prendo larga.
C’è un episodio un po’ fiabesco che viene citato spesso (credo di averlo sentito la prima volta da quella grande donna di Fabiola Giannotti, capa del CERN) e che fa sempre un po’ commuovere. Dopo la seconda guerra mondiale, un fisico nucleare americano, un certo Robert Wilson, insieme ad altri colleghi chiese di acquistare un acceleratore di particelle, apparecchio per sua natura molto costoso. Un senatore gli chiese se questo grosso investimento avesse in qualche modo a che fare con la difesa della nazione, e lui rispose più o meno
“No, signore, non credo. Ha a che fare piuttosto con il rispetto tra persone, la dignità dell’uomo, l’amore per la cultura. A che fare con le domande: siamo bravi pittori? bravi scultori? bravi poeti? Cioè ha a che fare con tutte le cose che più abbiamo a cuore del nostro paese. Non ha direttamente a che fare con la difesa del nostro paese, se non il fatto di renderlo più degno di essere difeso.”
Veniamo a noi. Concediamoci una parentesi di eurocentrismo. L’Europa è da almeno 80 anni, senza considerare i millenni precedenti, che spende praticamente tutto quello che ha non direttamente in difesa ma nella dignità di essere difesa, nella bellezza di viverci, mangiare, lavorare, essere curati, e tutte le altre cose che ci rendono il posto più bello dove esistere terrenamente.
Adesso il dilemma di cui sopra, cioè il dubbio di spendere qualcosa anche nella difesa concreta, si sta ripresentando in modo stringente. Abbiamo perso la seconda guerra mondiale e da lì in poi, volenti o nolenti, abbiamo scommesso su una specie di pace globale perpetua, abbiamo messo tutte le nostre uova nel paniere della cooperazione internazionale. Adesso non sappiamo se insistere (alcuni direbbero ottusamente) su questa strada, pregando che quel tavolo non salti mai, oppure se cominciare a diversificare, magari comprandoci qualche pistola, qualche nave che faccia più paura della pur bella - e degnissima di essere difesa - Amerigo Vespucci.
E d’altronde questa seconda ipotesi, che a prima vista sembrerebbe non solo obbligata ma l’unica ragionevole, prevede dei rischi. Due in particolare: 1. il rischio di illudersi di poter raggiungere militarmente le altri grandi potenze con cui ci misuriamo negli altri campi (economico innanzitutto); 2. il rischio di far saltare il tavolo su cui siamo seduti. Riarmandoci, cioè iniziando timidamente a comprare qualche fucile, compromettiamo il ruolo internazionale che abbiamo costruito in questi 80 anni. Abbiamo giocato a fare gli arbitri, ne abbiamo ricavato una certa leadership, almeno concettuale. Se un arbitro inizia a comprarsi le armi, la sua credibilità e semi-intoccabilità viene meno.
Ci troviamo in questo imbarazzo, tra il provare a diventare adulti - rischiando di prendere un sacco di botte nell’adolescenza fino al punto di uscirne tramortiti -, o piuttosto continuare a recitare la parte dei vecchi saggi, bonari e un po’ rincoglioniti - in un mondo che però forse non ha più tanta voglia di ascoltare i buoni consigli del nonno.
Rassegna fumetto: straordinario capolavoro di Maicol&Mirco.
Rassegna video: un notevole intervento (link) di Alessandro Colombo all’ultimo festival di Limes, circa dal minuto 13 al minuto 30. Un assaggio:
Secondo Clausewitz, la guerra ha una propria grammatica ma non ha una propria logica, perché la sua logica è quella della politica.