Tuffi/97
Fabrizio Corona Galli Della Loggia, suprematisti vs. noborderisti, Civil War, tutti e tutte
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
In un recente libro, Fabrizio Corona apriva un capitolo con un incipit già passato alla storia della letteratura:
“Io ho un magnetismo: guardo una donna e dopo un attimo sono lì che me la faccio”.
La stessa sobria eleganza ha voluto adoprare il ministero dell’istruzione nelle Nuove Linee Guida per la scuola, dove a pag. 68, in apertura del capitolo dedicato alla materia Storia, leggiamo:
Non serve essere woke/pensierodebolisti per capire l’imbarazzo stilistico ancor prima che contenutistico che genera una tale affermazione. Non serve essere Edward Said per intuire che anche di questo dovremo presto vergognarci, quando cinesi e tailandesi vorranno tenderci la mano per salvarci dal mare di desolazione geopolitica in cui la parte armata dell’Occidente ci sta abbandonando. Ma non siamo qui per questo.
Siamo qui per commentare invece un articolo circolato molto nella settimana, di Alessandro Portelli sul Manifesto. Titolo: Socrate alle Ardeatine. La faccio breve: l’articolo muove dalla imbarazzante rivendicazione sulla Storia di cui sopra, ma poi dilaga presto nella solita tiritera terzomondista, perché l’Occidente ok ma abbiamo anche fatto Auschwitz, etc. etc.
E siamo qui a dire che siamo stufi anche di questo. Non c’è niente di male nel dire che l’Occidente abbia ideato e sviluppato un sistema morale superiore a quello delle altre culture. Probabilmente non è neanche un grandissimo merito assoluto, siamo tutti in continua evoluzione e come già in altri settori magari la Cina ci sta sorpassando e tra tre secoli ci guarderà con disprezzo per la nostra barbarie spirituale. Ma intanto siamo arrivati qui per primi, e abbiamo messo a punto una macchina dialettica potentissima che ci permette (in linea di principio) di ridiscutere continuamente il nostro stesso operato, in base a principi astratti, universali, ai quali ci sottoponiamo volontariamente, etc.
Spingiamoci anche oltre e diciamo che non è facile far convivere questa enorme costruzione morale con le concrete istituzioni operanti nel mondo. E se, per fare un esempio, l’Europa paga i libici per tenere i lager nel deserto e arginare i flussi di migranti lontano dai nostri occhi, questo non è il segno della nostra barbarie quanto piuttosto il segno della nostra estrema raffinatezza morale! Nessun impero della storia è stato così sofisticato da sentire il bisogno di esternalizzare l’esercizio della violenza, anche solo per mantenere il necessario rispetto dei propri confini. Se servisse prova di ciò, l’Occidente impazzito di Trump ci sta mostrando tutta l’insopportabile volgarità nella trasparenza di questo esercizio, fatto per giunta in modo sommario, vendicativo, umorale.
Se l’Europa riuscirà a mantenere qualche funzione di guida per il mondo sarà tenendosi in equilibrio su questo sottilissimo filo teorico: né coi grotteschi suprematisti, né coi noborderisti autosabotatori terzomondisti. Consapevolezza della propria eredità concettuale, nessun imbarazzo nel chiedere scusa degli errori del passato e del presente (v. la vergognosa complicità UE con Israele, vera trave nell’occhio occidentale), anzi orgoglio di poter chiedere scusa proprio alla luce dei principi che abbiamo in qualche modo “inventato” - o almeno reso celebri e operativi all’interno di sistemi istituzionali.
Con Hegel e Papa Francesco, fino alla vittoria (cioè la prosperità e la vita in armonia di tutti i popoli).
Sempre sul piano del cringe/farsi i complimenti da soli, recentemente ho visto il film più brutto del 2024. Si chiama Civil War, è su Amazon Prime e lo sconsiglio dal profondo: è la summa della più imbarazzante autocelebrazione democratica. Il film parla di un “futuro distopico” in cui negli USA scoppia la guerra civile (ipotesi intrigante e che non-ironicamente non smettiamo di augurarci, da almeno 30 anni), e una piccola troupe di giornalisti-eroi per amore di verità si imbarca in un eroico viaggio attraverso la barbarie.
La realizzazione bambinesca del film dimostra che democratici e repubblicani sono due facce della stessa umanità - spiace dirlo - cognitivamente inferiore. Gli stereotipi sono le più vere forme di conoscenza, e questo film conferma che non c’è differenza di adultità tra la parte progressista e illuminata degli Stati Uniti e i segmenti più folkloristici del MAGA con le corna di bisonte in testa. Credono solo in supereroi diversi, ma con lo stesso manicheismo di fondo. Ed è questo manicheismo, che oggi chiamiamo più spesso polarizzazione, che bisogna evitare a tutti i costi, perché è proprio il sintomo ultimo che certifica il fallimento di una nazione.
Nota sociolinguistica: saranno un paio d’anni che la grande lotta femminista all’egemonia sulla lingua sembra essersi accontentata di un unica conquista: “Tutti e tutte”. Un po’ la Bakhmut del femminismo lessicale. Nelle altre trincee non c’è più slancio, non c’è più conflitto né immaginazione, non si sentono più “tuttu” né si vedono più le schwa. Il maschile sovraesteso viene accettato serenamente per ogni tipo di frase. Poi, quando qualcuno deve indicare “tutti”, beh, lì sì: in alto i calici, un mesto brindisi di fine guerra per “tutti e tutte” le compagne cadute sotto il fuoco della Crusca. Da mero spettatore e in generale da pacifista, spero che il risultato sia valso lo sforzo bellico.