Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
In questo clima preapocalittico, di natura ancora non chiara ma comunque inesorabile, mi sembra di fare giri di campo intorno a un burrone, in attesa della schicchera. Il fondo da qui non pare molto lontano, ma comunque a un livello sensibilmente più basso di quello in cui siamo. Cerco di accumulare il più possibile, come quando durante il Covid comprammo farina e zucchero, ma stavolta non so immaginare di che genere di scorte avrò bisogno, di cosa sopravviverà il valore d’uso. Non so dire se conserveranno qualche utilità i beni materiali, o i soldi, o gli strumenti intellettuali, saper parlare una lingua straniera o saper leggere un bilancio.
Più di tutto mi sembra desueto il saper comporre in bella forma. Ogni volta che devo cimentarmi in uno sforzo d’intelletto, com’è anche il caso di questa newsletter, penso che siamo agli sgoccioli. Mi sento come un cocchiere di carrozze l’anno in cui hanno commercializzato le macchine. Tutto questo sforzo di ordinare i pensieri, tradurli in linguaggio, scriverli in fila, parola dopo parola, con le giuste virgole, tutto questo sta per finire - in quanto opera dell’uomo. Sta per diventare modellismo, bricolage.
Le mie domande a Chatgpt diventano sintatticamente sempre più involute, imprecise, anacolute. Frasi senza verbi, domande senza punti, e quello stronzo risponde sempre bene, colpisce dove avevo nascosto il bersaglio, e rialimenta il circolo vizioso, sprofondandomi a ogni prompt in un grado di pigrizia maggiore. Nel naturale e bilanciato sforzo di comprensione reciproca proprio della comunicazione tra esseri umani adulti, questo non accade. Accade con lui, il mio assistente virtuale mi capisce ogni giorno un centimetro più dentro.
In futuro l’umanità si esprimerà solo tramite shitposting. Quella forma “immediata” ma soprattutto sciatta, grezza, non rifinita, quella che inizialmente abbiamo vissuto come provocazione stilistica, come rifiuto anche un po’ generazionale (eravamo adulti e ancora facevamo i generazionali) della forma costituita e dignitosa, ecco quel linguaggio embrionale è la nostra fine, il nostro destino. Smetteremo di articolare, di sillabare. Nella migliore delle ipotesi finiremo a mugugnare delle intuizioni, poi perderemo la voce e punteremo con gli occhi una generica direzione che però Lui sa esattamente che vuol dire “manda un messaggio affettuoso a papà per confermare il pranzo di sabato, prendo io il dolce e i fiori per mamma”. Poi per un certo periodo i gesti avranno ancora un senso, ma un senso animale, primitivo, sensoriale. Dei fiori apprezzeremo proprio e solo i fiori, il profumo e i colori.
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