Tuffi/92
Pace in Ucraina, perché adesso?, egemonia a somma zero, guerra e irreversibilità, armi e soldi, Kishore Mahbubani, Ian Bremmer, magre consolazioni
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Lo sapete, siamo qui principalmente per affetto, per tenerci caldo. Non siamo qui a dare risposte, men che mai risposte giuste. Iniziamo da una domanda. Ci diciamo sempre che le potenze ambiscono all’egemonia, in una guerra fredda o calda, “a pezzetti” come dice il Papa oppure unitaria e frontale, ma comunque perenne, costante. Da questa premessa, conseguenza lineare sarebbe che non si può mai stare tranquilli finché non ne rimane solo una, la potenza egemone. Circostanza che forse è avvenuta in alcuni rarissimi momenti (il giorno dopo il crollo del muro di Berlino, si può dire che c’era una sola potenza egemone sul mondo), ma poi nuovi attori riemergono da dietro al palco e si riparte con la tensione.
Insomma, in questi giorni di cose che non tornano, la domanda che mi tormenta è: quando è che le potenze che ambiscono all’egemonia si siedono al tavolo e negoziano una pace? Perché Usa e Russia, che si contendevano l’egemonia sull’Ucraina e sull’Europa fino a una settimana fa, hanno deciso di trovare un accordo proprio adesso?
L’egemonia sul mondo, direi quasi per definizione di mondo e di egemonia, è un gioco a somma zero. Non si può egemonizzare qualcosa in due, e non ci sono altri mondi da egemonizzare (almeno per ora). Nella guerra in Ucraina il gioco non è esattamente mondiale ma regionale: la vincita massima è l’Europa. Ma il modello vale lo stesso, possiamo pensare questo pezzo spaziotemporale di universo come un sistema chiuso. Allora se c’è effettivamente qualcosa di “buono”, a somma positiva, che Usa e Russia possono trarre dalla fine di questo conflitto, c’è necessariamente qualcuno che deve perdere, qualcuno da cui succhiare quel buono. Indovinate? Siamo noi, l’Ucraina e l’Europa - a questo punto della guerra ha senso usare questa congiunzione, ci siamo dentro fino al collo.
Due parole sull’irreversibilità. Le guerre, insieme ai terremoti e agli uragani, forse sono i fenomeni con più alta generazione di entropia. Rimanendo a cavallo della metafora fisica, hanno un’altissima irreversibilità. Una cosa giusta o conveniente prima della guerra può diventare sbagliata o sconveniente dopo, perché non conta solo la posizione, conta (moltissimo) il processo con cui ci siamo arrivati. Provo a essere più chiaro.
Noi regaz non allineati in seno all’occidente, noi neobolivariani sudeuropei panmediterraneisti antiatlantisti, lo diciamo da 30 anni che spingere sul multipolarismo ci conviene. Un po’ perché siamo provincia remota dell’impero e su un versante neanche più tanto di moda, dunque abbiamo finito da un pezzo il nostro ruolo di fiore all’occhiello (da ricoprire di soldi) e anzi stiamo già ripagando da parecchio il debito contratto col dominus; un po’ anche perché siamo la ca**o di culla della democrazia e del liceo classico quindi abbiamo degli standard etici ed estetici molto alti, ad esempio ci crediamo veramente nell’autodeterminazione dei popoli, e quindi stare sotto il tallone di una nazione di zotici miracolati ci mortifica parecchio.
Venendo all’Ucraina, era prima che bisognava scongiurare quasi ad ogni costo la guerra, per non perdere il contatto con la Russia, non farsi aprire una ferita nel petto. Nel momento in cui la guerra è scoppiata, per quella stupidissima fissazione di dover lasciare aperta la porta della Nato all’Ucraina, l’Europa ha già perso tutta la sua credibilità e tutti i suoi interessi, cioè il poter fare affari a est e a ovest, fare leva sul multilateralismo per far valere il nostro famoso liceo classico agli occhi del mondo, costruire negoziati, provare a risolvere i cambiamenti climatici, dettare qualche forma di agenda e di egemonia, fosse anche solo nello stile di vita e gli aperitivi al tramonto, e nel frattempo smarcarsi ogni giorno un m^2 in più dal giogo Nato, etc.
Ma il fatto che la guerra non convenisse affatto all’Europa non vuol dire che adesso le convenga qualsiasi pace. Anzi. La pace che pare stiano negoziando Usa e Russia (ancora con troppe cose che non tornano, quindi stiamo calmi) è una pace molto diversa dalla pace se non ci fosse mai stata la guerra. La pace di adesso sembra una sconfitta definitiva ed ulteriore per l’Europa. Con ogni probabilità, gli Usa imporranno condizioni svantaggiose all’Europa impedendole (almeno nel breve) di ripristinare rapporti con la Russia, o almeno obbligandoci a comprare ancora il loro costosissimo gas perché altrimenti i dazi, etc. Per non parlare dell’Ucraina: Trump ha già chiesto di dargli 500 miliardi di $ in risorse minerarie, non per l’aiuto militare futuro ma per quello passato.
Brevemente, sulle armi e i soldi. Le guerre non si combattono coi soldi, e soprattutto non si combattono con la percentuale di PIL investita nel settore difesa nell’anno corrente. Si combattono invece con le armi, che sono più o meno la somma cumulata di quel %PIL investito in difesa dal paese lungo i secoli precedenti. Insomma, stiamo calmi. Siamo disarmati, e decidere di investire il 30% di PIL chiudendo ospedali e scuole dall’oggi al domani non cambierà improvvisamente la nostra condizione. Ci farà solo sembrare ancora più ridicoli, insicuri delle nostre scelte e inconsapevoli della nostra storia. Va bene tornare a essere un po’ realisti, ma con giudizio. E ricordandoci che alle condizioni attuali, ogni soldo speso in difesa va in larga parte in tasca agli Usa.
Rassegna stampa: Avrete capito che è un Tuffo monotematico. La rassegna anche. Innanzitutto un pezzo di Kishore Mahbubani, brillante thinktanker di pol. intern., singaporiano, che su Foreign Policy suggerisce all’Europa tre mosse radicali. Tutte variamente assurde “unthinkable”, ma tant’è.
Desperate times call for desperate measures. And as my geopolitical gurus taught me, one must always think the unthinkable, as Europe must do now. It’s too early to tell who the real winners and losers from the second Trump administration will be. Things could change. Yet, there’s no doubt that Europe’s geopolitical standing has diminished considerably. U.S. President Donald Trump’s decision to not even consult with or forewarn European leaders before speaking to Russian President Vladimir Putin shows how irrelevant Europe has become, even when its geopolitical interests are at stake. The only way to restore Europe’s geopolitical standing is to consider three unthinkable options.
First, Europe should announce its willingness to quit NATO. […] the insistence of the Europeans on staying in NATO after Trump’s provocative actions gives the impression to the world that they are licking the boots that are kicking them in the face. What shocks many in the world is that Europeans didn’t anticipate the quagmire they’re in.
If Metternich or Talleyrand (or Charles de Gaulle) were alive today, they would recommend unthinkable option 2: Work out a new grand strategic bargain with Russia, with each side accommodating the other’s core interests. Many influential European strategic minds would balk at these suggestions, because they are convinced that Russia represents a real security threat to the EU countries. Really? Which is Russia’s most fundamental strategic rival, the EU or China? With whom does it have the longest border? And with whom has its relative power changed so much? The Russians are geopolitical realists of the highest order.
And this leads to unthinkable option 3: Work out a new strategic compact with China. Again, in the realm of the ABCs of foreign policy, there’s an important reason why geopolitics is a combination of two words: geography and politics. The geography of the United States, which faces China across the Pacific Ocean, combined with Washington’s urge for primacy, explains the hostile relationship between the United States and China. What geopolitical pressures have caused the downturn in EU-China relations? The Europeans foolishly believed that a slavish loyalty to American geopolitical priorities would lead to rich geopolitical dividends for them. Instead, they have been kicked in the face.
Rassegna stampa 2: dalla newsletter settimanale di Ian Bremmer, dal titolo “A new Yalta?”.
Europeans suddenly find themselves fighting a two-front war – facing both Russian security threats and American anti-European hostility. When the US defense secretary declares that “stark strategic realities prevent the United States from being primarily focused on European security,” that’s diplomatic speak for “you’re on your own.” But the problem goes beyond the US no longer being a reliable partner in the fight against Russia or even a last-ditch security guarantor. The transatlantic alliance itself is in trouble when the US vice president says the biggest threat to Europe comes “from within” and his Euroskeptic Trump administration is actively threatening to interfere in European democracies, undermine the European economy, weaken European unity, and even – in the case of Greenland – violate European sovereignty.
Eighty years after the leaders of the US, UK, and Soviet Union carved up post-war Europe into spheres of influence at Yalta, Trump and Putin are poised to do the same. The Russians would see their European territorial ambitions codified, the Americans would secure their own interests, and each side would divide the Arctic – leaving the rest of the world to fend for itself. This is not just a betrayal of Ukraine and Europe – it is the unraveling of the world order America built after World War II.
Magre consolazioni: