Tuffi/85
Campanello dispositivo perfetto, fine dell'estate mediorientale, Luciana Borsatti, Salut les Cubains
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
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Tesi: il campanello della bicicletta è il dispositivo per eccellenza. In linea con la tradizione di Foucault e Agamben, riprendiamo il concetto di dispositivo e ne analizziamo una proprietà ristretta e proprio per questo ben definita: dispositivo è ciò che si frappone. Allora quale migliore invenzione si frappone per il solo scopo di frapporsi, se non proprio il campanello della bici?
Tutti i dispositivi servono anche a qualcosa che senza di essi sarebbe più scomodo, meno efficace, meno rapido, etc. Ad esempio, sempre in tema di segnalazione stradale, il clacson delle macchine serve effettivamente a farsi sentire dalle altre vetture o dai pedoni a un volume che eccede la capacità vocale umana, specie se costretta dai vetri dell’abitacolo. Onde la funzione di ampliare la potenza sonora. Parimenti, tutti gli oggetti che “servono strettamente” a qualcosa e che in un ipotetico diagramma di flusso trasformano un’azione in qualcos’altro, cioè hanno una funzione che non sia solo di mero tramite.
Veniamo quindi al nostro campanello. Esso ha un volume basso, ben più basso della voce media di un ciclista. Lo adopriamo quasi sempre verso i pedoni - gli unici che possono sentirlo in mezzo al traffico - per fare ciò che potremmo fisicamente fare molto meglio con la nostra voce. Eppure preferiamo che lo faccia qualcun altro, anche se evidentemente per il tramite della nostra mano. Invece di urlare, preferiamo azionare un terzo elemento che si prenda il disturbo di fare da interfaccia, che eviti il piccolo imbarazzo di chiedere “permesso!”, che renda la nostra richiesta il più possibile tecnica e non politica. Il campanello della bici, con quella sua vocina stridula e fioca eppure perentoria, è il dispositivo ideale.
Con l’improvviso collasso di Assad, e l’immediato annientamento della capacità militare siriana da parte di Israele, tutto quello che ci piaceva sognare del Medio Oriente sembra essere finito. Libano finito, Palestina finita, Siria finita, Iran sempre più sotto scacco. L’intera regione è ormai spartita tra un Israele in libera e indefinita espansione, Turchia sempre più potente, Emiratini e Sauditi sempre più ricchi e meno disturbati. Sono rimasti i barbuti coi soldi. Ha prevalso il capitalismo a scapito della modernità.
Non è solo un problema di pluralismo religioso, o delle quattro suorine sparse in monasteri bellissimi a cui vogliamo tanto bene ma ci rendiamo conto essere una scusa troppo piccola per vincolare il desiderio di politica di interi paesi. È un problema di idee, di islam politico che prevarrà. Non smetteremo di avere nel portafoglio santini di generali in divisa con occhialoni da sole, cioè le copie esatte dei nostri nonni siciliani, dei nostri politici anni ‘80 e dei bagliori di sovranità internazionale di cui abbiamo sentito parlare e che non abbiamo mai vissuto. È stata la nostra adolescenza politica, figlia della nostra infanzia domestica e mediterranea, e da qualche settimana è definitivamente scaduta, diventata retroguardia, retrospettiva. Niente più panarabismo, niente più sogni di resistenza laica.
Riusciremo ad interessarci ancora alle vicende regionali, e non solo per adulta necessità di sopravvivenza? Riusciremo a reincantarci davanti al Vicino Oriente?
Rassegna stampa. Continuando a invitare al silenzio stampa sulla questione, ci permettiamo di suggerire questo lungo ed equilibrato riassunto della situazione dell’Iran, a firma di Luciana Borsatti su Valigia Blu, che ci ricorda le responsabilità europee (se mai l’Europa può essere ritenuta responsabile di qualcosa) nello stato di isolamento in cui si trova la repubblica islamica.
[…] se l’azione dei moderato-riformisti [iraniani] ci appare oggi indebolita - per quanto siano tornati all’offensiva nello scenario politico interno – è anche perché nulla è stato fatto dall’Europa per sostenerla, da quando la prima amministrazione Trump ha scelto la massima pressione. E purtroppo anche l’Italia ha perso – allineandosi gradualmente alla stessa linea dura – parte della capacità negoziale e di interlocuzione con Teheran che aveva solo fino a pochi anni fa. Basti pensare alla netta riduzione dei suoi investimenti e del suo interscambio con il paese e alla linea sempre più filo-statunitense e filo-israeliana del nostro governo.
Rassegna video: A proposito di adolescenza politica e promesse non mantenute, un piccolo e struggente documentario fotografico su Cuba, regia di Agnès Varda. Si trova su Raiplay, dura mezz’ora. Salut les Cubains