Tuffi/81
Chiara Valerio, amichettismo, Carlosh Tavaresh, Picotti vs. Aresu, Geoeconomia della bella vita
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Chiara Valerio, Leonardo Caffo, Fiera del Libro di Roma. un giorno mi piacerebbe leggere per intero il libretto di Fulvio Abbate, “amichettismo”, ed essere in grado di dimostrare ciò che già intuisco: perché è sbagliato al 80%, 10% invidia e 10% banalità.
Il fuoco mediatico su Chiara Valerio di questi giorni me la sta quasi facendo diventare simpatica, o comunque mi fa vedere molto bene l’ingenuità di gran parte delle critiche. provo a riassumere:
Valerio e Caffo sono a. amici, e b. molto scarsi nella loro produzione intellettuale. è giusto indagare solo la loro scarsezza, che a volte si converte anche in goffaggine e inadeguatezza - come l’invitare uno che è sotto processo per maltrattamenti a un festival dedicato a Giulia Cecchettin.
Tutti i cicli egemonici dopo un po’ si incistano, iniziano a puzzare, ad andare avanti solo per conoscenza e clientela. Ma l’esistenza di gruppi egemoni che si sostengono a vicenda non è un problema individuale, è un problema degli esseri umani che dopo millenni di evoluzione hanno ancora il vizio di essere animali sociali. Dunque non si possono accollare alla povera Valerio vizi che sono inesorabilmente, strutturalmente di tutti. Tutti evitiamo di criticare il libro brutto di un amico, tutti perdiamo un po’ di onestà intellettuale quando conosciamo Tizio a un aperitivo. Chi non capisce questa cosa è grillino, anarchico (come forse il buon Caffo), cioè un cretino. il potere esiste, smettiamola di indignarci ogni volta che scopriamo che la bagnatezza dell’acqua.
Ogni rivoluzione, il giorno in cui sale al potere, diventa una forza conservatrice che cerca di puntellare le proprie conquiste. Il ciclo rivoluzionario di Michela Murgia, ammesso che sia mai stato interessante, ha esaurito il suo slancio e adesso gli epigoni sono troppo deboli per sostenere le posizioni di potere su cui siedono. Ci auguriamo che questa occasione mediatica sia colta da altre forze culturali per spazzare via Valerio, Caffo & co. e diano vita a un nuovo ciclo di novità e vitalità. Il contesto politico di questi anni, in Italia e nel mondo, è abbastanza effervescente da permetterlo. Servono forze che però accettino il rischio di ambire all’egemonia, sapendo che tra 15 anni saranno anche loro dei burocrati pieni di amici infilati senza merito a dirigere collane. è il ciclo della vita, e li ringrazieremo comunque per i giorni belli.
Come i giornalisti pensano che si vinca il premio Pulitzer:
Rassegna stampa: approfitto del fatto di non essere ancora amico di Alessandro Aresu (spero di diventarlo presto perché in generale penso sia molto bravo) per condividere con voi un pensiero. Sono andato alla presentazione del suo libro, Geopolitica dell’intelligenza artificiale, per scoprire che sta sviluppando una strana forma di aggressività. A varie domande dei presentatori (in quell’occasione c’erano Mattia Salvia di IconografieXXI e Fjona Cakalli) e del pubblico, ha risposto in modo infastidito, anche nel caso di domande lecite e interessanti. Ma dal vivo, ho pensato, una serata storta può capitare. Poi ho letto questa intervista di Luca Picotti, pubblicata su Pandora (link), e ho trovato la stessa innecessaria aggressività, stavolta in forma scritta e ragionata. Incollo l’ultima domanda-risposta:
Luca Picotti: Quest’ultima domanda è un po’ lunga, ma credo che sia un tema che vale la pena menzionare. Da un lato, un elemento centrale nelle dinamiche produttive in campo tecnologico, su cui spesso torna il libro, è la vittoria netta del capitale sul lavoro, che si traduce in una diffusa ostilità verso la sindacalizzazione e, nel caso asiatico, in una vera e propria vita dedicata all’azienda. Dall’altro, in particolare quando si guarda agli Stati Uniti, se è vero che questi dominano, rispetto all’Europa, in tutti gli indicatori rilevanti all’esterno (ricchezza, produttività, innovazione), va anche detto che sul fronte degli indicatori domestici della qualità della vita (aspettativa di vita, mortalità infantile, alcolismo, consumo di droghe, violenza, omicidi, sanità, povertà) il cittadino americano ha tutto da invidiare a quello europeo. Da qui, il grande tema: può esistere il modello americano, con la sua distruzione creatrice, velocità, irrequietezza, senza tali effetti collaterali? Può esistere il modello della grande manifattura asiatica senza una totale subordinazione del lavoro al capitale? Questo perché, qualcuno potrebbe dire che è vero che la storia dell’intelligenza artificiale sarà scritta in America e in Asia, ma forse si vive meglio a Salisburgo che a San Francisco o a Hsinchu.
Alessandro Aresu: Sì, sento spesso questo discorso, ma non capisco proprio cosa c’entri con quello che io descrivo nei miei libri, e di sicuro in nessun modo contraddice la mia specifica ricostruzione del contesto contemporaneo. In che modo, esattamente, la storia imprenditoriale dell’era digitale e dell’intelligenza artificiale viene cambiata o influenzata dal fatto che si viva meglio a Salisburgo che a San Francisco, oppure dal fatto che Jack Ma diceva di voler andare a riposarsi in spiaggia e invece è stato punito e umiliato dal Partito Comunista Cinese, mentre io vado veramente in spiaggia al Poetto quanto mi pare? Qual è il ruolo, nel grande schema delle cose, della frequenza con cui io vado in spiaggia? Nessuno. Buon per me, ma chi se ne frega, è un fatto privato, se non per l’importanza di pubblicizzare il turismo a Cagliari. Il fatto che io possa andare in spiaggia e avere a Cagliari una qualità della vita eccezionale – altro che Salisburgo, sono un lettore di Thomas Bernhard e vorrei vedere il loro mercato del pesce rispetto a quello di Cagliari – influenza la mia teoria del capitalismo politico, o le vicende di ASML, BYD, CATL, DeepMind, Huawei, OpenAI, SpaceX, Tesla, TSMC che ho descritto nei miei libri? No.
Per quanto riguarda la nostra vita eccezionale in Europa, oltre al fatto che è resa possibile da qualcuno, cioè la difesa degli Stati Uniti e pure in buona parte il suo consumatore, dobbiamo anche ricordare che poi al Poetto queste persone, le persone che io descrivo, non ci vengono a vivere. Chiaro? Loro in Italia non vengono, in Francia non vengono, in Germania non vengono, ora per quelli che vengono nei Paesi Bassi c’è anche un governo che vuole limitare l’inglese all’università e quindi lavora per far venire meno persone, per fare in modo che questi nostri luoghi che esaltiamo siano sempre più vuoti, abbiano sempre meno energie. Prendiamo Mira Murati che, siccome è albanese e ha la famiglia qui in Italia, durante una dimostrazione in un video di OpenAI dice in un ottimo italiano “Se le balene potessero parlare, cosa ci direbbero?”. Bellissimo sentire la nostra splendida lingua in quel momento. Facciamo una semplice domanda: se Mira Murati fosse venuta a lavorare in Italia, avrebbe potuto fare quella carriera? In Tesla, in OpenAI? Cosa hanno fatto i suoi amici, le sue amiche che invece per fortuna hanno arricchito nella cultura e nell’economia, come tantissimi albanesi, il nostro Paese? La verità è che pochi di loro saranno riusciti fino in fondo a realizzare le loro ambizioni, perché il nostro sistema comunque dà meno opportunità, e perché opportunità del livello di ciò che ha fatto Mira Murati non esistono proprio in Italia. Quindi io continuo ad apprezzare la bellezza di Roma, il Poetto, ma questi sono fatti miei, vicende private che non riguardano l’assetto del mondo e del nostro continente, se invece passiamo al contesto pubblico poi avrei voluto Mira Murati e tutti gli altri a parlare italiano e inglese in Italia, a fare qualcosa in Italia, così magari sarebbero cresciute le possibilità di avere di più, di costruire di più, affiancando le capacità delle medie imprese italiane che, soprattutto tra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, ci hanno lo stesso tenuto in piedi.
Alla domanda se possa esistere un modello americano con una migliore qualità della vita, penso che si possa rispondere di sì. Certo, può esserci un po’ di retorica di “apprendimento attraverso la sofferenza”, come nella figura di Jensen Huang e in tante storie personali dell’immigrazione, ma che c’entra questo col fatto che il sistema sanitario degli Stati Uniti potrebbe essere migliore, che il tema del rapporto con le assicurazioni potrebbe essere gestito meglio, eccetera? E, allo stesso tempo, non c’è nessuna relazione a mio avviso tra la qualità della vita che abbiamo ottenuto in Europa e il fatto importantissimo che nessuno in Europa abbia investito in aziende come DeepMind o Arm: se un investitore istituzionale mette i soldi in immobili e in aziende di scarso valore e non in DeepMind o Arm, perché questo dovrebbe aiutare la qualità della vita, lo stile di un popolo e altre cose? Non c’entra assolutamente niente, si tratta di errori e basta. In conclusione, questo discorso sulla qualità della vita europea rischia di essere una consolazione pericolosa davanti ai temi che abbiamo affrontato.
Ovviamente la domanda aveva senso, e il senso è: poiché assumiamo che tutti gli esseri umani, almeno nella loro componente biologica, siano circa uguali, e poiché la vitamina D a cui si è esposti prendendo il sole piace a tutti, così come avere cure gratuite di qualità, etc. questa cosa incide o non incide nell’attrarre i talenti che poi creano le aziende che rivoluzionano l’economia globale? Ed è possibile un mondo in cui stile di vita europeo e sviluppo industriale stiano insieme?
P.s. importante, visto che avrei anche voluto recensirlo: il libro è piuttosto noioso, cioè è una lunga ricerca wikipedistica delle aziende chiave del capitalismo digitale. Se cercate un saggio ricco di concetti, non è il libro che fa per voi. Se invece cercate un grande romanzo industriale, con lunghissimi aneddoti e dettagli personali, allora magari sì.