Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
A scanso di equivoci, premettiamo che Paolo Sorrentino è ancora il migliore “ospite intervistato” d’Italia, ha un modo impareggiato di parlare napoletano, uno starebbe ad ascoltarlo per ore e difficilmente rimarrebbe deluso da una volgarità o una banalità. Detto questo, alcuni punti su Parthenope:
Problema della forma. Capiamo la stanchezza dell’età, la stanchezza dell’aver già avuto tutto il successo desiderabile, la volontà quindi di abbandonarsi al maledetto, pigro, deplorevole mito dell’essenzialità informale. Purtroppo il risultato è che Sorrentino è diventato come quelli che vanno in ciabatte in aereo. Scusa Paolo, chi ti ha dato questa confidenza? Quand’è che hai pensato che volessimo darti 8€ per ascoltare una secchiata di aforismi invece di vedere un bel film? Non è che Dostoevskij ha scritto 900 pagine di fratelli Karamazov creando un contesto narrativo credibile e centellinando le stoccate e le vette filosofiche perché era stronzo. Non è che la sospensione dell’incredulità è una parentesi novecentesca inutile e superata e adesso ognuno si mette l’orecchino e fa come gli pare. Perché al contrario del precedente film, molto più riuscito e di cui tutti conserviamo almeno il “Non ti disunire”, alla fine di queste due ore di tentativi di battute ficcanti non ne resta impressa neanche una.
Parthenope, dicevamo, è un film che contiene molti sottofilm. Non tutti sono belli. Quello iniziale, sull’adolescenza di Parthenope, sebbene ricco di scenette e personaggi innecessari è comunque il più riuscito. La sequenza peggiore è quella in cui Parthenope si mette con un ricco napoletano, una specie di boss, e insieme attraversano i “bassi” di Napoli. Veramente imbarazzante, così come è imbarazzantemente mal costruito tutto il parallelo con la città di Napoli, a cominciare dall’imbarazzante nome della protagonista “Parthenope”. Sospensione dell’incredulità? No grazie, meglio iniziare il viaggio con un bel piede scalzo in faccia.
Passiamo alle cose buone. Parthenope affronta due problemi, entrambi in modo ossessivo e verticale, l’invecchiamento e la bellezza. La bellezza - tema ormai quasi rimosso o comunque ripresentato solo in forme politicamente accettabili - è un problema grosso, eterno e inaggirabile, sempre interessante, e Sorrentino ha il coraggio di affrontarlo dalla prospettiva in cui si trova: il vecchio rattuso. Ma la rattusità concentrata e oscena del regista permette
a. delle inquadrature eccezionali, e poi b. una sorta di meta-laboratorio, cioè è come se ci offrisse un microscopio in cui noi possiamo vedere l’occhio del vecchio rattuso, e questo prisma ci aiuta a fare luce su noi stessi: siamo tutti un po’ morbosi, nel senso che siamo tutti un po’ malati di bellezza. Sorrentino non è sistematico nell’analisi ma coglie vari aspetti tragici della bellezza: la socialità del problema, quando i giovani canottieri si imbambolano sotto alla terrazza di P.; la sterilità della bellezza vissuta in modo consapevole, vissuta fino in fondo. La bellezza richiede distanza per essere guardata, e la distanza impone di non concedersi mai. La bella che vuole adempiere fino in fondo al suo ruolo di oggetto del desiderio pubblico non può mai rendersi privata, di uno solo, pena il venir meno della pubblica iconicità e desiderabilità.Sorrentino è talmente sincero e politicamente disinteressato che Parthenope è la prima eroina che è bella ma non intelligente. Forse anche oltre quello che avrebbe voluto, il copione riesce a darle solo una pallidissima parvenza-di-intelligenza, rendendola tra l’altro un personaggio molto più realistico e credibile. A un certo punto nel film qualcuno le dice “Parthenope, tu hai sempre la battuta pronta”, ed è vero ma sono tutte battute di merda, aforismi mancati, spuntati, imprecisi. Parthenope finisce a fare la professoressa all’università, ma in questa scelta rivediamo più un omaggio cittadino all’istituzione accademica, essendo Napoli città imperniata sull’istituzione accademica, piuttosto che un vero premio individuale all’intelligenza della protagonista.
Sorrentino ha ancora moltissime cose da dire (al microfono) ma forse pochissimi film belli rimasti da fare. Va bene così, e noi ringraziamo sia per i bellissimi film fatti, sia per tutte le interviste che vorrà ancora concedere.
Rassegna podcast: intervista densissima di Malcom Pagani a Sorrentino.
Rassegna stampa: comparsa sulla rivista Il Nemico, a firma di Ernesto Tedeschi, una recensione ancora meno generosa ma con vette molto alte dell’opera qui discussa.
“Con un atto conoscitivo di stampo prettamente politico, dunque andreottiano, Sorrentino comprende che, nell’estrema sintesi dell’economia, la posa del genio è molto più conveniente del genio stesso. Questo partendo da una premessa essenziale: ogni vera ricchezza matura sempre da una truffa colossale.”
Teche:
Ripetiamo alcune cose. 1) non c'è modo migliore di parlare italiano che parlarlo perfettamente nella grammatica e ornato di una lievissima pronuncia napoletana. 2) sorrentino ha un modo particolare di fare discorsi impegnati: sopprime le pause nei passaggi chiave. cioè non solo non si ferma a sottolineare, a raccogliere applausi, etc., ma non fa neanche i respiri normali che fa in quanto essere respirante in altri punti del discorso. 3) questa frugalità prosodica oltre ad essere molto elegante - e molto napoletana - produce anche un altro effetto nel pubblico. lo costringe a una serie di piccoli sforzi di intelletto, cioè ad accelerare il processo di assimilazione delle parole, a mettere a fuoco l'importanza delle parole appena dette di sfuggita senza perdere di vista, con la coda del cervello, la nuova frase. questo piccolo sforzo chiaramente amplifica la ricompensa dell'attenzione e rende partecipi dell'intelligenza di chi parla. ancora di più, in qualche modo della sua felicità, essendo la felicità spesso sinonimo di variazione di velocità.