Tuffi/71
Maledizione e benedizione, segreto Liberato, Ginevra Leganza, Spotify vs. Windows Media Player
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
La maledizione e la benedizione. Dobbiamo tenere a mente questa foto, perché è l’ennesimo capolavoro comunicativo di Netanyahu. E oltre a tutto il camuffamento, oltre al nascondimento di tutto il male che sappiamo e che abbiamo scritto, ci ricorda purtroppo la triste verità della frammentazione del mondo arabo, della profonda irrilevanza del tema palestinese nelle agende arabe degli ultimi decenni, e della difficilissima, quasi insostenibile posizione di chi è dall’altra parte. Si dice che per capire la vendibilità di un’idea devi provare a venderla a tua nonna, e mi rendo conto che è più facile che mia nonna compri da Netanyahu piuttosto che il nostro complesso sistema di specchi e di leve, con cui supportiamo ma allo stesso tempo ci distanziamo etc. etc. È anche vero che come esseri umani non sapremo mai se conta più il marketing (le due slide in foto) o il prodotto (il flusso costante di armi americane). Insomma è facile fare il venditore se hai ancora il prodotto migliore.
Rassegna film: a 4 mesi dalla timida uscita in sala, è adesso disponibile su Netflix “Il segreto di Liberato”. All’epoca il silenzio con cui venne accolto dalla mia bollicina social mi fece presagire un film orribile, o comunque molto mal riuscito tipo “Ultras” (il precedente film di Francesco Lettieri, già regista dei videoclip di Lib., con colonna sonora di Lib.). Invece questo è un po’ meglio. Rivolto ad un pubblico di fan sfegatati, può anche risultare carino come documentario/cronistoria dell’ascesa. Ci sono un po’ troppi zuccherosi siparietti girati a cartone animato, tra l’altro parlati in un napoletano talmente marcato da risultare goffamente innaturale, però qualcosa si salva. Oltre ovviamente alla colonna sonora.
Rassegna stampa: sabato scorso sul Foglio è uscito un bellissimo articolo di Ginevra Leganza, sulle donne single. Cito alcuni pezzi:
E pensare che nel 1988, mentre Giorgio Gaber incideva “I soli” e la parola inglese s’insinuava nei dizionari italiani, Eurispes condusse una ricerca – lo spirito del tempo non sbaglia un colpo – dal titolo “I single in Italia”, dove la solitudine sembrava invece a trazione maschile. Trattavasi infatti – scriveva Eurispes – di soli perlopiù “metropoli - tani, carrieristi, spendaccioni” e dunque “narcisi, insonni, stressati”. Di un’umanità maschia con esemplari altamente scolarizzati e nondimeno subordinati all’aiuto dei genitori per spignattamenti e servizi domestici. Attività che determinavano, allora, un divario tra uomini (16,5 per cento) e donne (6,2). E che per contro determinano oggi, con l’estensione delle faccende domestiche al maschio e soprattutto dell’alta scolarizzazione alla femmina, una percezione più rosa (ma non più rosea) della vita in solitaria. E insomma chi dice “single”, oggi, dice donna. […]
Sempre qui da noi l’Ipsos ha messo su un simpatico Osservatorio dei single che affresca la solitudine italiana a tinte vieppiù femminili, con il 74 per cento delle donne, contro il 61 degli uomini, che manifesta maggiore diletto in attività solitarie o in “svaghi intimi”. I quali più che all’eros fai da te – che pensavate? – afferiscono a “espe - rienze” sì intime ma instagrammabili. E cos’è più instagrammabile, oggi, per una donna single e cioè qualunque, di una bella vacanza? Fateci caso. Niente tira su l’engagement e l’autostima come un viaggio, che per il 72 per cento delle donne (a fronte del 57 per cento maschile) altro non è, appunto, che “un’opportunità fondamentale per acquisire fiducia ed essere orgogliose di sé”. […]
Che sia o meno superdonna, la percezione della solitudine femminile sembra oggi ribaltata, a riprova della sua normalità. Col maschio solo che è somaro e tapino e la femmina, per contro, che è istruita e “orgogliosa di sé” a prescindere dal reddito. Anche se poi, ancora a proposito di orgoglio, un sospetto s’insinua… Perché insomma, va bene il “single pride” – come si chiama – ma non è che codesto pride, che della donna potente è la spuma, è invece l’oppio della popolana? Non è che il “single pride” è solo la favoletta formato hashtag buona per sopportare la vita e non dirsi in faccia che senza l’indennità parlamentare non c’è carriera ma duro lavoro? E che la solitudine, così, costa cara e fa pure schifo come le monoporzioni al supermercato? Domanda. Era una domanda. E la risposta è aperta. Chissà.
(Se qualcuno vuole leggerlo per intero, sperando che il Foglio non si offenda, si dovrebbe intravedere qui.)
Teche:
Sicuramente sarà stato già detto altrove, ma una piccola parola sul modo di fruire musica. Prima avevamo le nostre ricchissime librerie musicali, e per l'architettura neutrale del software (ad es. windows media player) eravamo subito "costretti alla libertà" cioè messi davanti a un'ampia scelta, più o meno libera salvo criteri minimi di ordine automatico, ad esempio alfabetico. Adesso invece, escluse le menti iperorganizzate (lode a voi, il mondo vi appartiene) che hanno sùbito ricreato quell'ambiente trasportando tutte le playlist e archiviando/cuorando gli artisti preferiti in modo sistematico, molto è cambiato. Siamo molto più guidati dal design sottilmente invasivo che ci rassegna alla nostra pigrizia, alla facilità di premere play e far partire qualcosa di familiare. Questa pigrizia si traduce innanzitutto nell'ascoltare sempre gli stessi 6 dischi che compaiono nella home di spotify. Più in generale, forse è più facile scoprire cose nuove e affini (il biforcuto tracciamento dei gusti, come sappiamo, fa anche cose buone) ma è una scoperta frivola, perché è anche estremamente più facile dimenticare tutte le precedenti scoperte e il materiale escluso (per motivi non del tutto trasparenti, altro problema) dalla prima sestina. Come sempre è un problema di design, e magari altre piattaforme sono organizzate meglio ma ormai siamo quasi tutti qui. È sempre più facile, quasi naturale, perdere memoria organica, e trattenere almeno l'informazione in forma digitale richiederebbe un grande investimento di energia mentale, prima per ricostruire la libreria e poi per metterla continuamente a posto. In ogni caso, il grosso lo abbiamo perso nel mai compiuto trasloco dai file al cloud. Oggi potrebbe essere il giorno in cui ci ricordiamo che, anche se spotify non sarà la nostra ultima casa, ci sono ancora un sacco di scatoloni rimasti a prendere umidità nell'hard disk.