Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Recentemente ho sentito un uomo di Chiesa, il Papa o forse un vescovo (purtroppo non riesco a ricordare esattamente la circostanza, e d'altronde questo mi permette di sproloquiare senza téma di smentita), che intervistato da un giornalista sull'attualità parlava della grande responsabilità degli uomini davanti alla guerra e al cambiamento climatico. Che, detta così, suona quasi banale.
Il punto è che ne parlava, almeno così mi è sembrato, con un tono di soddisfazione, quasi contentezza.
Dopo un iniziale momento di stupore, devo ammettere che la cosa mi torna.
La Chiesa è l'ultimo narratore a proporre una visione regale, principesca dell'uomo e della sua libertà.
Innanzitutto facciamo una considerazione temporale: quanto è desueto parlare di responsabilità umana nel 2023? Salvo alcuni crimini particolarmente sulla cresta dell'odio mediatico (in questo periodo i reati a sfondo sessuale, fino a pochi anni fa il terrorismo di matrice religiosa) per i quali l'occhio scandalizzato prevale sull'occhio chiuso, possiamo dire che viviamo in un'epoca deresponsabilizzata. Quasi nessuno crede più veramente al libero arbitrio. Il nucleo della "libertà" è rimasto di grandezza immutata, mentre l'involucro di condizionamenti esterni che la avvolge si fa sempre più pesante e denso di scoperte scientifiche e ordini di giustificazioni (economiche, sociali, mentali, culturali). Quello ha rubato perché troppo povero, quello ha evaso perché troppo ricco, Tizio ha picchiato Caio perché da piccolo gli è mancato l'affetto degli zii.
Un discorso simile si può fare per la scala degli effetti. Finora la nostra libertà è stata un videogame, una finzione virtuale dalle ricadute personali, limitatissime e quasi sempre emendabili: un litigio con un amico, un tradimento con la fidanzata, al più una piccola evasione fiscale. Difficilmente durante la giornata ci pensiamo liberi di distruggere tutto.
E invece adesso eccoci qui: la creatura prediletta da Dio è libera di devastare il mondo e (tornare a) fare la guerra; finalmente siamo messi davanti all’orrore della nostra opera.
Anzi, a guardare bene il bilancio teologico delle responsabilità umane si è recentemente aggravato: se la guerra è sempre stato un male che il cristianesimo ha messo sul conto dell'uomo, la sfera degli eventi climatici era - almeno quella - a carico di Dio, come luogo del dialogo (o talvolta della punizione) tra Dio e le creature. Oggi invece, per il convergere dell'avanzamento della scienza (di comprendere) e della tecnologia (di distruggere) da un lato, e un'effettiva straordinaria modernità della Chiesa (v. l'enciclica Laudato Si') nell’integrare questi avanzamenti del mondo nella dottrina, entrambe le sfere di responsabilità poggiano sulla testa dell'uomo. Per riassumere con una classica espressione napoletana, stamme 'nguaiate.
Tutto questo non per argomentare se questa visione iper-arbitrista sia vera o falsa, ma solo per dire che il cristianesimo è bello. Chissà se saremo abbastanza forti da meritarcelo ed essere all'altezza delle sue aspettative su di noi.
Non conoscevo e non conosco tuttora il lavoro di Ettore Mo. (se qualcuno vuole suggerire da dove iniziare, sia il benvenuto). La scorsa settimana ho accompagnato un amico al Premio Ischia di giornalismo, e durante la premiazione hanno proiettato questo filmato. Consiglio la visione, dura 6 minuti, la parte più bella è da metà in poi: quando parla di castità verbale, e quando dice che la vocazione non è esattamente una libera scelta. Tornando al problema (citato due Tuffi fa) di vedere la gente che piange, riconosciamo che ancora più commovente è vedere la gente che cerca di non piangere nascondendo la tenerezza in altri gesti ancora più teneri, ad esempio tenendo la bocca aperta. Non siamo più gente da picnic.