Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Parliamo un attimo di oroscopo. Di quella sensazione che tutti abbiamo che l’oroscopo dica cose generiche, applicabili a tutti, e che quindi è ovvio che ci azzecchi perché in fondo sta dicendo con altre parole che noi del capricorno abbiamo due narici e una bocca e che una volta nella vita siamo stati scontrosi o abbiamo respirato.
Provando a essere un po’ più precisi, forse quello che fa veramente l’oroscopo è dare sempre l’agency alle persone. Agency è un termine filosofico, tradotto in italiano dal bruttino agentività, e
“rappresenta il nucleo della capacità umana di esercitare un controllo cosciente sul proprio comportamento. È il motore che guida l'individuo ad agire in base a scopi e intenzioni specifici, distinguendolo dalla semplice reattività agli stimoli ambientali.” (cit. da internet)
In questo senso, quello che fa l’oroscopo è delineare caratteristiche positive o talvolta anche negative ma comunque attive, agentive. L’oroscopo ti può dire che sei un trascinatore; un oroscopo particolarmente provocatorio può arrivare a dirti che sei un manipolatore, ma a nessuno dirà mai che è un manipolato. Non dirà mai “voi del toro siete dei gregari, dei sudditi, quindi più che altro dovete sperare di capitare accanto a dittatori illuminati”.
E in fondo è per questo che accettiamo di buon grado ogni definizione dell’oroscopo: perché accarezza la nostra soggettività.
(ovviamente è una soggettività paradossale, perché nel momento in cui ci dice che abbiamo agency, ci specifica anche alcune sue caratteristiche, limitandola immediatamente. Ma in questo paradosso di secondo ordine ci entreremo un’altra volta.)
L’oroscopo ci lusinga nella nostra umana sovranità, nel bene o nel male.
Se mi è permesso un parallelo ambizioso e un po’ scurrile, è come quella mia compagna del liceo che nelle liti teneva a operare la seguente separazione semantica. Diceva: “non voglio dire che tu sei uno str*nzo, perché essere str*nzo è una cosa fica, di cui un narcisista si può vantare. Tu non sei uno str*nzo: tu sei una m*rda!”
Ecco, quello che la mia compagna voleva dire in termini filosofici è che la vera umiliazione è negare l’agency, cioè non tanto attribuire un animo maligno a qualcuno, ma sottrargli la volontà. E questo, in fondo, è quello che non fanno gli oroscopi - per motivi commerciali, di soddisfazione del cliente.
Amici cartomanti, propositi per questo settembre: sviluppare una cartomanzia più credibile e quindi brutale, più scientifica, meno lusinghiera: che sappia negare l’agency.
Rassegna filosofica: una bella recensione di Alessandro De Cesaris alla nuova edizione di ”Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger”, di Peter Sloterdijk. Un estratto:
I filosofi sono degli ultra-retori, perché «trattano di oggetti per i quali non si può trovare un modus adeguato» (p. 276). Il discorso filosofico evoca la totalità, il nulla, l’eterno, il divino, mettendo a punto strategie discorsive che consentono di trovare una misura per lo smisurato.
Questo eccesso si esprime anche in termini pratici. Contro una tradizione che aveva identificato la vita filosofica con la vita misurata, Sloterdijk – anticipando temi che saranno propri di Devi cambiare la tua vita – pensa il filosofo come un funambolo dell’eccesso, un atleta della rinuncia e del pensiero, tenendo presente che «l’atletismo è la forma culturale del troppo».
Questa lettura dell’impresa filosofica, ovviamente, dice molto sullo stile dello stesso Sloterdijk. Se dovessimo identificare i filosofi sulla base di semplici prefissi, sarebbe certamente possibile, semplificando, individuare dei pensatori del de e del meta, dell’anti e del post. In questo panorama, Sloterdijk è senz’altro un filosofo dell’iper: il suo vocabolario è composto da termini come iperpolitica e ipercolpa, ipercompetenza e iperinsulazione, ipercomplesso e ipermorale (termine, questo, già di Arnold Gehlen, altro filosofo fondamentale per comprendere il percorso sloterdijkiano). Il prefisso serve addirittura da marcatore antropologico: «è il prodotto di un’ipernascita che fa di un neonato un uomo di mondo» (p. 340). L’iperbole diviene così l’habitus retorico e concettuale della filosofia.