Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
“Mettere a terra”, locuzione apparentemente trasparente, pratica, a zero-layer di aziendalese, pragmatica, di chi finalmente ha smesso di parlare a vanvera e vuole iniziare a fare le cose - E INVECE NO, è già diventata la presa per il culo al quadrato, ci state togliendo pure la pragmaticità, quindi “mettete a terra” cose astratte, cose assurde, ”la messa a terra del processo di selezione” - la verità è che nelle aziende non si riesce mai ad avere un minimo di serietà lessicale perché siamo una specie pigra e il capitalismo non ci giudica per quello che diciamo e scriviamo ma solo per quello che millantiamo e fatturiamo.
Quanto sarebbe giusto se le aziende oltre i 50 dipendenti fossero obbligate a nominare un responsabile anti-sofisticazione lessicale.
Memicchio sviluppato in collaborazione con gli amici di GOG - Preferirei di no. Ci piaceva l’assonanza grafico-sonora; il significato politico ci è ancora in larga parte oscuro.
Una cosa a cui pensiamo tutti i giorni ma quasi mai mettiamo veramente a fuoco: è incredibile che Napoli sia in Italia. Ogni volta che pensiamo alla cultura araba e alla contaminazione della nostra penisola ci viene in mente Palermo, ed è vero ma non in senso profondo. Palermo è stata attraversata da culture altre, e questa contaminazione ha portato alcuni elementi sincretici, giustapposti, ma la cultura palermitana è la classica cultura meridionale italiana, pienamente europea.
La cultura napoletana, in particolare una sua sottocategoria e cioè la cultura sottoproletaria napoletana, senza risentire di nessuna recente contaminazione allogena, ha nel DNA lunghi tratti di proteine africane, magrebine, forse anche indiane. Il neomelodico napoletano è identico ad alcuni generi sahariani. Le donne centauro, mezze-donne mezze-motorino, sono identiche a Essaouira e a via Montesanto. Questo perché forse a Napoli c’è l’unico sottoproletariato italiano crudo, tribale, privo di cultura che non sia quella minima della condizione umana allo stato più genuino, istintuale. Napoli è il nostro vero ponte col Mediterraneo e tutto il Global South.
Il sassofono vive ancora di un grande e ingiustificato esotismo. Il sassofonista ai matrimoni si comporta quasi come un domatore di leoni, depositario di un’arte iniziatica: suona 4 note su una canzone che scorre in playback dagli altoparlanti, ondeggiando da stronzo in mezzo al pubblico. Prende 5000€ puliti e se ne va a casa. E la colpa di tutta questa domanda spropositata di sassofonisti da accompagnamento pop di chi è? Klingande.