Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
‘Àmo’, con accento sulla a, è stata la parola con cui i gay hanno fatto breccia nel cuore del linguaggio femminile. Questa parola ha inventato e dichiarato ad alta voce un legame intimo e indissolubile, quello tra il gay e la donna; la dichiarazione ad alta voce di questo profondo legame di fiducia viene brandito dall’omosessuale davanti all’eterosessuale come leva ricattatoria contro ogni discriminazione. Come un bambino che litighi col fratello e poi si faccia trovare subito abbracciato alla mamma. Come a dire: “hai visto? adesso la smetti di darmi fastidio?” Sembra poco, ma gli storiografi dell’emancipazione omosessuale a questa piccola parolina dovranno tributare un ruolo centrale.
Ho l’impressione che il pubblico dei fumetti sia prettamente maschile, perché ai maschi è consentito o addirittura in qualche modo auspicato un fanciullino interiore (termine di cui curiosamente non esiste declinazione femminile), una certa dose di ingenuità anche estetica, anche pragmatica, negli hobby, etc. Non nelle donne, e infatti il pubblico del fumetto femminile o non esiste oppure esiste in forma dichiaratamente patologica, cioè in forma di cosplayer che ha fatto una scelta di vita drastica: la scelta di non crescere. Mentre esistono molti uomini 40-50-60enni che conducono vite normali (questo termine sia inteso in tutti i sensi possibili) e che coltivano la passione del fumetto in forma privata, circoscritta, non totalizzante, viceversa non risulta esistere una speculare fascia di pubblico femminile dello stesso fumetto.
Qualche giorno fa, il 23 maggio, è stato il compleanno di Andrea Pazienza. Bravo, auguri. Due spunti di rassegna.
Il primo è un filmato comparso su youtube due mesi fa. Si chiama “Andrea Pazienza, Filippo Scòzzari e Vincenzo Sparagna ricordano Stefano Tamburini”. è una puntata di Dossier, programma di Teleroma 56, andata in onda nell’ aprile ‘86, pochi giorni dopo la morte di Tamburini. Per gli appassionati di quel mondo e di quel fumetto, è una discreta chicca. Dura un’ora.
[Stefano Tamburini, romano, disegnatore e inventore di Ranxerox, è morto per overdose di eroina. Nonostante la tragicità della scomparsa e la tristezza suscitata in Pazienza, lo stesso Pazienza non potrà esimersi dal morire di eroina due anni dopo, a 32 anni.
In queste settimane, con qualche anno di ritardo rispetto alla sua diffusione nella realtà e sui media, sono molto colpito dal Fentanyl, una droga oppiacea molto diffusa negli Stati Uniti. Spero di parlarne più diffusamente qui, nel frattempo sto studiando.]
Il secondo è un pezzo che negli anni ho mandato a decine di persone ed è il pezzo più bello che a mia conoscenza sia mai stato scritto su Pazienza. Lo ha scritto Duccio Battistrada e descrive il suo rapporto di fan adorante, quasi coetaneo. Gli rubiamo un estratto che restituisce bene la dolcezza, l’articolo completo è qui.
Mai voluto incontrarlo: perché. C’era chi si riconosceva nelle sue storie. Per me il discorso è diverso. Quelli come me, piccoloborghesi senza possibilità di redenzione, borghesi che per paura di essere troppo borghesi si chiudono in una borghesissima paralisi (sembra un meccanismo elementare, ma c’è chi non si è mai ripreso), sfogliavano ogni sua pagina con gli stessi occhi sognanti, la stessa sospirosa trepidazione delle servette degli anni Cinquanta quando leggevano i fotoromanzi (chiamati all’epoca fumetti), spinti da un’identica pulsione: avere accesso a un mondo che a loro era, e sarà sempre, precluso, perché di fronte a un ago svengono, di fronte a una ragazza scappano e di fronte alla vita è meglio non guardarli, ci si vergognerebbe troppo per loro. Quindi incontrarlo non aveva nessun senso. Cosa avrebbe potuto fare una tremula domestica di fronte a un Gregory Peck incontrato per caso se non svenirgli davanti? Ecco. Ma già da subito ti trovi ad avere una posizione da difendere se non ti vuoi sputtanare, mi si diceva che disegnavo bene, ma perché non cerchi di conoscerlo, tiene anche dei corsi. E così dovevo fare finta di rincorrerlo. Ma appena uscivo trafelato da casa il passo rallentava, cominciavo a osservare le vetrine, guardavo l’autobus allontanarsi dalla fermata dov’ero in attesa, sapevo che non dovevo arrivare. Iniziavo a elaborare una labile scusa se qualcuno avesse chiesto notizie, be’, quel corso? E così la città ha per me l’aspetto principale di sottofondo logistico di una rete di incontri mancati con l’Autore, alla quale fa da parzialissimo contraltare, anche se su scala più ampia, una serie di incontri con le Opere, inseguendo quello che la vita è stata e riducendo l’esistere a un continuo rimpianto, facendo finta che sia ancora possibile usarle per accendere una luce dentro se stessi.