Tuffi/49
Abiti contenitivi, reato di "paradossalmente", specie superiore, pranzare soli, scegliere canzoni.
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Tornando a casa dopo il lavoro, il corpo può avere una mezz’oretta - anche un’ora - di conati di decomposizione. Spogliarsi subito, cedere alla tentazione e mettersi in abiti comodi vorrebbe dire esporsi al rischio di disfarsi, e questo il cervello lo percepisce. A volte ha l’impressione che il corpo si possa liquefare, e che stia insieme in modo dignitoso e coerente solo grazie alle calze che stringono ancora i polpacci fino a sotto il ginocchio, o le maniche di camicia i polsi, la cinta la pancia. Per questo noi suggeriamo di rimanere vestiti almeno fino alla cena con abiti da lavoro: per garantirsi quel minino di tenuta, se non altro volumetrica. Rimanere scomodi ancora un po’ permette di tenere impegnata una certa parte di capacità cerebrale, sia fisica che mentale, che se fosse tutta libera e stravaccata nel pigiama inizierebbe a scalpitare e a voler affrontare (sempre in modo ozioso e mai risolutivo) quelle che lei chiama “le questioni fondamentali”.
Tempo fa una compianta pagina facebook, Elia Spallanzani, faceva notare un misuso linguistico che stava iniziando a dilagare tra la popolazione: uno stravagante e incomprensibile uso dell’avverbio “paradossalmente”, messo come il prezzemolo un po’ ovunque.
[E in effetti, se uno ci pensa, i paradossi dovrebbero essere enti concettuali rarissimi, che vengono scovati attraverso attentissime e stringenti analisi della realtà. Strano che ormai se ne trovino così tanti, e vengano trovati anche da persone insospettabili.]
Spallanzani diceva che non solo nella maggior parte dei casi l’avverbio non c’entra niente col contesto, ma anzi è piuttosto vero il contrario; “paradossalmente” si può sostituire con “consequenzialmente” e la frase ha ancora senso, anzi ha finalmente il senso compiuto che merita.
Tutto questo sembrava (ed è tuttora) vero, ma non era chiara la ragione di questo comportamento umano.
Qualche giorno fa credo di aver avuto un’illuminazione. “Paradossalmente” viene abusato perché, con poco sforzo per il parlante, suggerisce all’ascoltatore che sta per ascoltare un’ipotesi arguta, nient’affatto scontata, probabilmente brillante e comunque ben oltre la apparente, superficiale linearità dei fenomeni.
Rassegna stampa 1: immagine e commento degni di nota, trovati su internet qualche settimana fa (riferimento all’eclissi del 8 aprile).
Rassegna stampa 2: un’intervista del Corriere ad Arrigo Cipriani, proprietario del bar Harry’s a Venezia. Intervista di per sé non troppo rilevante, ma da cui estraiamo volentieri questo passaggio:
Sta entrando un signore anziano da solo, alto, magro, pantaloni scozzesi, giacca azzurro elettrico, papillon, bastone da passeggio rosso. Cipriani si alza a preparargli il tavolo, facendogli saltare la fila. Chi sarà? Uno stilista, un duca conte? «È un gondoliere, che ha sposato una ricca turista americana. Ora è rimasto vedovo. Pranza qui tutti i giorni, e io gli faccio trovare sempre il tavolo perché mio padre mi ha insegnato che non bisogna mai far aspettare chi pranza da solo. Quando arrivava un cliente da solo, lui gli dava sempre il primo tavolo disponibile, anche da dieci posti». Perché? «Perché non ha nessuno con cui parlare, e va trattato con particolare riguardo».
Teche:
Fatto ‘1’ il piacere standard della musica in macchina, scegliere e riprodurre una canzone di nostro piacimento reca piacere fino a 0,95 (talvolta ulteriormente decurtato da immediata microsensazione di insoddisfazione). Al contrario, trovare una canzone carina o anche solo orecchiabile in radio può dare piacere di intensità fino a 1,05, con picchi di 1,09 in caso di canzone davvero bella/preferita. Il brivido dell'alea contiene un premio.
Sottoscrivo le teche del T/49.