Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
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Mi scuso per la mancata uscita di ieri ma sono andato a Venezia al "Festival dell'innovazione", organizzato da quella che qualche balordo della Prenestina ebbe a definire con notevole intuizione "la fanzine per barbieri atlantisti di Roma Nord", nonché mio quotidiano preferito nell'edizione del weekend, signore e signori, Il Foglio.
Due parole su questo festival. C'erano due format di intervento, le classiche interviste tra giornalista e ospite, e poi dei brevi monologhi stile TED, alcuni addirittura con slide, fatti da Amministratori Delegati di aziende italiane. Il primo ha funzionato più o meno bene, anche a seconda dell'intervistatore. Il secondo no, era un TED senza idee. Se il claim di TED è "Ideas worth spreading", qui eravamo a "positions worth bragging", incarichi di potere da sbandierare senza grandi contenuti intellettuali dietro. Peccato.
Adesso parliamo del titolo, "Festival dell'innovazione". Può essere che mi manchi quasi del tutto il senso gergale e occulto di questa parola ombrello, può darsi che tra navigati industriali sia stata un'esperienza ricchissima di contenuti, ma verso le 11.30 di mattina sul palco c'è stata Letizia Moratti che ha detto per mezz'ora le classiche banalità che sentiamo da quando hanno inventato l'elettricità su quanto è importante l'innovazione (ogni tanto diceva anche sostenibilità). Adesso, sarà che io sto impazzendo davanti a GPT e alla sconfinata grandezza di cosa potrà venire dopo, ma mi pare che organizzare un "festival dell'innovazione" con esperti del calibro della classe-1949 Letizia Moratti (non faccio il giovanilista, è un mero problema di contenuti), sia una cosa in ritardo sulla realtà. Inneggiare ingenuamente (anzi sempre con quel filo di tono lamentoso nei confronti dell'Italia in ritardo, del poco dinamismo economico) all'innovazione quando l'innovazione ce l'abbiamo già tra le mani e non sappiamo cosa farci, mentre le persone più intelligenti del mondo si stanno chiedendo quante cose potremo farci, se questa bomba a idrogeno dell'innovazione che è l'intelligenza artificiale ci potrà addirittura esplodere in faccia, e noi stiamo ancora a organizzare "Festival dell'innovazione" con la stessa accuratezza e profondità semantica con cui faremmo il "festival del progresso" o la "festa del grazie".
Iniziamo a innovare da qui, iniziamo a stare al passo della storia e della tecnologia. Facciamo, semmai, una retrospettiva sull'innovazione.
Una cosa bella altrimenti sembra che io non voglia bene al Foglio. Vittorio Emanuele Parsi. Bravo, brillante, ironico, parla svelto. Probabilmente lo avrete visto qualche volta in tv a parlare di guerra. È il professore migliore che una città come Milano (è ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica) può ambire ad avere. Forse poca riflessività (alcuni giudizi molto netti sulla Cina, ma va benissimo così visto anche il contesto omogeneo e schierato) però grande reattività.
Una cosa bella che ha detto è che la parola "doveri" ha vissuto sempre di un pessimo marketing, forse nato quando le mamme ci dicevano "non fare questo", "non sudare", "non sporcarti", ma nella vita adulta e consapevole i doveri in fondo sono solo le cose che amiamo molto, talmente tanto da averle rese obbligatorie, agli altri e a noi stessi. Bravo Parsi. Viva i doveri.