Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
In quei giorni lo interrogavano:
“Maestro, le femmine sono molteplici e la nostra carne è debole. D’altronde sappiamo che il poliamore non è compatibile con l’essere umano, e amiamo l’idea di famiglia. Qual è dunque la ricetta per la fedeltà coniugale?”
Bodhidharma si sedette sotto un albero.
“Vedete, quando venite invitati a entrare presso le case altrui, di amici, parenti, o anche solo conoscenti, senz’altro vi sarà capitato che queste siano più grandi della vostra, con più finestre, una cucina col fuoco più grande, o saloni più spaziosi per le feste. Eppure la vostra casa è la vostra casa.”
Le persone oggi dicono “gelosia” quando spesso vogliono significare “invidia”. A prima vista potrebbe sembrare l’ennesimo calco semantico errato dall’inglese, in cui tutti usano jealous per indicare entrambi i concetti e quasi nessuno distingue envious. Ma in realtà la lingua inglese distinguerebbe, e oltre a una piccola percentuale di erranti dovuta alla difficoltà di gestire il multilinguismo, c’è di più.
(Non credo ci sia bisogno in questa sede di ricordare la netta divisione tra i concetti, ma nel caso ci leggesse qualche straniero: invidio quello che non ho, sono geloso di quello che ho).
Il punto è che l’invidia non ha più cittadinanza nel dibattito pubblico. Parlare di invidia, anche solo in termini astratti e non riferendosi a sé stessi, spruzza sulla conversazione quella ormai tipica puzza di incel, di pària, di abiezione morale oltre che sconfitta sociale. Questo perché la competizione sociale (più o meno naturale a seconda delle visioni, ma non entriamo in troppi gineprai) oggi viene dal lato materiale/reale esasperata (dalla tecnica economica che crea piramidi gerarchiche molto strette, e dalla tecnica governativa che non riesce più a redistribuire), e dal lato mediatico/narrativo nascosta, rimossa, allontanata dalle telecamere.
Forse alla lontana c’entra anche il cristianesimo: l’invidia è uno dei sette vizi capitali, la gelosia no. Ma ovviamente oggi non è una questione religiosa, quanto di status. La gelosia può essere vista come una cosa un po’ tenera, cucciolosa. L’invidia è la passione dei poveri.
Ma non è neanche che la gelosia va di moda: anzi, già si sentono le sirene che si avvicinano a chi non nasconde la propria gelosia, magari addirittura in una relazione di coppia.
Semplicemente il lemma ‘gelosia’, più che la gelosia in sé, sta svolgendo un ruolo di apparente sciatteria linguistica e più voluta mistificazione, per tutte le circostanze in cui si è invidiosi di qualcuno ma si vuole annacquare il significato in un errorino semantico ormai comprensibile, anche se non del tutto decifrabile.
Il pubblico della trasmissione radiofonica La Zanzara, già di dimensioni abnormi e disperanti, mi pare sia ulteriormente cresciuto negli ultimi mesi. Non so ricondurre questo nuovo saltello di fama a qualche causa specifica, né d’altronde (lo ammetto candidamente: per paura del buio) mi arrischio ad avvicinarmi per capire meglio. Mi addoloro, nel mio cantuccio, e ripubblico una piccola nota che ebbi a scrivere qualche anno fa.
Vorremmo che Giuseppe Cruciani e il suo luogotenente David Parenzo venissero consegnati alla storia come la più grave ferita di questi anni alla dignità nazionale, alla percezione (autopercezione innanzitutto) dell'italianità, perché forse non saremo la brava gente che ci siamo raccontati per alcuni decenni ma non siamo neanche così infami e indecenti, così schifosamente prevaricatori e manipolatori.
Purtroppo ci riferiamo alla storia, alla prossima storiografia, perché al momento è tristemente chiaro che un sacco di gente si ascolta La Zanzara. Ci è difficile ricordare con precisione, ma dev'essere qualcosa di simile a quelli che 20 anni fa non dicevano di votare Berlusconi. Chi ascolta La Zanzara solitamente (almeno nei casi migliori) lo confessa sottovoce, lo ammette timidamente. Dice "io ogni tanto me lo ascolto", spesso nascondendosi in quel grande e maledetto cesto di significato semivuoto: "è interessante". Sono spesso boomer ma non solo boomer, più che generazionale il collante è la voglia di far crollare ogni resistenza interiore all'egoismo: sono tutti quelli che si candidano a diventare, in una profezia autoavverante, la futura parte peggiore del paese. Perché anche questo va detto: basterebbe essere una democrazia sana e salda nei propri fini, senza bisogno di arrivare al totalitarismo, per sperare in un uso dei media più avveduto. Se non educativo, che non sia neanche un inno spudorato all'eversione e alla sopraffazione. A voler pensare male si direbbe che la radio di Confindustria ha qualche interesse nel distruggere la solidarietà e diffondere la maleducazione, ma è un pensiero che non faremo. Viva la libertà di radiodiffusione e l'iniziativa privata. Viva Radio Rai.