Tuffi/33
Cinonomastica, socio-onicologia, stitichezza tettista, allineamento US-Isr, Trump 2024, plurali culturali
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Ai cani bisogna dare soltanto nomi maschili, al di là del sesso biologico dell’animale. Femminilizzare vuol dire antropizzare troppo. Anche perché femminilizzare implica arrivare a dire frasi come “lei ha fatto […]”, “lei ha abbaiato […]”, che suonano molto male in italiano. Si sente proprio un pizzico di colpevolezza a usare quei pronomi, non a caso personali, e parte della colpa è della nostra lingua che ha perso un disinvolto uso del neutro (ci sarebbe ”esso”, ma non è bello). Dunque al cane bisogna dare nomi maschili, e comunque senza dargli del “lui”: parlando del cane bisogna sempre dire ‘il cane’: “il cane ha fatto […]”, “il cane ha abbaiato”.
Ci si è interrogati spesso sul rapporto tra la fecazione e la molto semplice teoria TCF. Ebbene, siamo arrivati a una, almeno temporanea, conclusione. La stitichezza è tettista, perché il tempo del tettista è il Kàiros. Lo stitico è un errante nel deserto del tempo (da non esperto di ebraismo, intravedo una radice comune tra ebraismo e tettismo): la chiamata può avvenire in qualsiasi momento, l’esistenza è un’eterna e passiva attesa, impotente e indolente. Il culismo, che come sappiamo ha avuto sempre un approccio operoso alla salvezza, cioè è sempre stato artefice della propria fortuna, anche in questo campo ha la sua regolarità, naturale o più spesso costruita, con le sue buone pratiche di alimentazione, le fibre, i muesli, i cruesli, lo yogurtino. La regolarità viene meritata attraverso le opere. La stitichezza è un destino ereditato da milioni di anni, dal metabolismo dei padri e dei nonni, sarebbe quasi un peccato verso il super-Io disobbedire e provare ad aggirare ciò che è scritto. Per il tettista più ortodosso, haredim, la stitichezza è quasi preservanda. Vale quello che scrisse qualcuno, forse Pasolini o Brera, della differenza tra il calcio e il basket. E cioè che, cito a memoria, l’esultanza di un canestro ogni 20 secondi sarà necessariamente di natura diversa rispetto all’esplosione di gioia, l’esperienza mistica e miracolosa di assistere alla rarità dell’evento-goal.
Rassegna stampa 1: bellissimo articolo di The Nation su quanto poco credibile sia la vulgata mediatica secondo cui Biden non sarebbe d’accordo con quello che sta facendo Israele, a Gaza e ormai in tutta la regione. Qui sotto qualche estratto.
In 1982, President Ronald Regan was “disgusted” by Israeli bombardment of Lebanon. He stopped the transfer of cluster munitions to Israel and told Israeli Prime Minister Menachem Begin in a phone call that “this is a holocaust.” Reagan demanded that Israel withdraw its troops from Lebanon. Begin caved. Twenty minutes after their phone call, Begin ordered a halt on attacks.
While Biden has condemned Israeli cabinet ministers when they openly speak of their plans of ethnic cleansing, it has become increasingly clear that he’s never wanted a cease-fire, because he has bought into the feasibility and legitimacy of Israel’s maximalist war objective: the complete military destruction of Hamas, come what may. Biden wants Israel to do to Hamas what the US couldn’t do to the Taliban.
“The odds of achieving the complete elimination of Hamas were nil from the moment that Prime Minister Benjamin Netanyahu declared them to be the chief goal of the war,” Ehud Olmert wrote in Haaretz at the end of December.
Nota toponimica: un tratto del lungomare di Palermo dal 2019 è intitolato a Yasser Arafat. Un plauso.
Rassegna stampa 2: sulla fiducia in Biden alle elezioni del 2024, questa è la delicatezza con cui l’Economist sceglie il suo “must-read” della settimana.
(“Roadworthy in ‘24?” è cortese allegoria con la macchina a fianco, dove ci si chiede se un tale relitto stradale possa ancora “circolare per strada nel ‘24”)
Teche:
Riflettendo meglio, i plurali culturali (le destre, le Afriche, le confindustrie) sono solo la contromossa tardiva e un po' piccata della xenosinistra delle case editrici verso la xenodestra delle trattorie, che già da anni si era silenziosamente infilata nella miniera d'oro dei singolari gastronomici (lo spaghettino allo scampo, la mezza manica alla carbonara, il tortellino in brodo). Il consiglio ai giovani rimane lo stesso: chi può si faccia un master in programmazione neurolinguistica, chi non può fondi un'università telematica.