Tuffi/25
Domande mediorientali, "senza distinzioni", Draghi FT, Dario Fabbri, Roberto Paura, tragica polisemia, yogurt andropausa, Peirce
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Confesso che non sto capendo in che direzione sta andando la guerra in medio oriente. Non capisco, nell'ordine, i seguenti punti:
premesso che è bassa, non capisco quanto è bassa (nulla? 5%? 25%?) la possibilità che l'Iran e i suoi alleati colgano l'occasione per soffiare sul tenue fuocherello che Hamas ha acceso il 7 ottobre. Sul lungo termine gli ayatollah direi che non hanno grosse speranze di sopravvivenza (non vedo nel 2123 un Iran governato dagli ayatollah), questa è la loro finestra per provare l'assalto al mondo. No?
non capisco se e quanto USA e coalizione stanno scaricando, eventualmente e comunque da tenere separati, Netanyahu e/o Israele. Ogni tanto qualcuno tipo Blinken o Crosetto o la Von der Leyen lancia un messaggio vagamente meno allineato, ma non si capisce se dietro ci siano vere trattative e cosa sia sul tavolo (un cambio di governo? un cambio di strategia regionale?)
Non capisco perché non sia riuscita a emergere una voce e una proposta marketizzabile su larga scala, coerente e concreta da parte della Palestina. Il mondo mainstream non capisce esattamente cosa i palestinesi vogliono. La mia umile proposta ai vari, tantissimi e bravissimi influencer e militanti d'area (non credo mi leggano, quindi se siete loro amici diteglielo) come ad esempio Karem_from_haifa, o Motaz_azaiza, o la stessa Rula Jebreal: fate una piattaforma che vada oltre l'impresentabilità di Hamas e allo stesso tempo raccolga chiaramente e puntualmente le rivendicazioni profonde e ampiamente condivise della causa palestinese.
[Per chiarezza: dire solo “cessate il fuoco” chiaramente non ha senso, non si appicca il fuoco per dire un attimo dopo “cessate il fuoco”, sembrate pazzi e fate sembrare pazzi noi che vi andiamo dietro]
Non avrete molti altri momenti di ribalta mediatica, questa è l'occasione di dire al mondo cosa volete. Uno stato binazionale che non sia confessionale né di una sola etnia privilegiata? Due stati separati? La possibilità di scappare con un visto qualsiasi e 50mila€ per rifarvi una vita altrove? Non ce lo possiamo inventare noi simpatizzanti. Ditelo. Le persone medie che accendono la tv non lo sanno e non lo stanno capendo.
Poiché la narrazione antisionismo = antisemitismo è ormai molto compatta, come abbiamo detto negli ultimi due Tuffi, è bello guardare ogni tanto le piccole voragini che si aprono in quella apparente coerenza argomentativa. Prendo un esempio facilmente fotografabile; ce ne sarebbero migliaia ogni giorno.
Sul Foglio di sabato scorso (4/11) è pubblicato un appello della comunità degli accademici israeliani in cui si dice che il 7 ottobre Hamas si è infiltrata in Israele e ha ucciso “ebrei musulmani e cristiani, senza distinzioni”.
“Senza distinzioni”?? Ma si può essere antisemiti e allo stesso tempo uccidere senza distinzioni? Detta così, sembra quasi che Hamas sia il classico movimento di liberazione che appena entra a casa dell’occupante uccide chi trova senza discriminare sulla religione o sull’etnia, cosa che però è pienamente in contraddizione con quello che la propaganda israeliana cerca di comunicarci ogni giorno. Siamo confusi.
Rassegna stampa 1.
Draghi in conferenza stampa al Financial Times ha parlato di Europa. Lo avrete già letto tutti, ripubblico qui il cuore dell’intervento perché è in qualche modo un momento cruciale.
“Il modello geopolitico sul quale l’Europa si è retta dalla fine della seconda guerra mondiale – sostegno dagli Stati Uniti per la difesa, esportazioni dirette principalmente in Cina, approvvigionamenti di energia a poco prezzo dalla Russia – non esiste più. Per poter esprimere una visione politica unica e potente nel mondo di oggi, l’Europa ha bisogno di molta, molta più integrazione. […]
O l'Europa agisce insieme e diventa un'unione più profonda, un'unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa, oltre a tutte le politiche economiche oppure temo che l'Unione Europea non sopravviverà se non come mercato unico.”
Questa è finora la presa di coscienza a più alto livello e più sistematica che le istituzioni europee abbiano fatto finora. Non vuol dire che le cose, da qui in poi miglioreranno. Però qualcosa, in qualche direzione, si è mosso.
Il 15 novembre p.v. (che belle le elementari) esce il primo libro di Dario Fabbri, Geopolitica Umana. Questa non è una marchetta, non sono amico di Fabbri, penso sia uno dei pensatori nostri contemporanei più originali o se non altro ammalianti (v. anche la tesi n. 9 di Tuffi/13), e un libro sembra finalmente il banco di prova che noi fan con riserva, noi potenziali devoti a vita aspettavamo per capire se DF ha veramente qualcosa di sistematico e intelligente da dire o ha solo un modo fichissimo e telegenico per declamarlo mentre guarda in camera e increspa i labbrucci.
Ne parleremo presto.
Rassegna stampa 2.
Copincollo una riflessione di Roberto Paura sui rischi profondi e di lungo termine che la auto-statualizzazione coatta dell'ebraismo, cioè il fenomeno passato alla storia come sionismo e/o Israele, può avere per la millenaria ed errante cultura ebraica:
Quel che più fa soffrire delle vicende in Medio Oriente - almeno per me personalmente, per la passione che ho per la storia e la cultura ebraica e per la fascinazione che provo per questo popolo che considero “eletto” non foss’altro per l'enorme contributo alla cultura occidentale, al punto che sono persuaso che l'Europa non si riprenderà mai più dalla Shoah perché da allora abbiamo perso forse per sempre la fiamma della cultura ebraica nel nostro continente - è questa pericolosa equiparazione tra ebraismo e Israele. Fa male leggere Edith Bruck che dice che la Shoah oggi non si ripeterebbe perché gli ebrei hanno uno stato che userà la forza contro tutti coloro che proveranno a minacciarne la sopravvivenza: perché esiste un'enorme parte del popolo ebraico che in Israele non ha voluto andarci e certamente non crede che sarà il governo di Tel Aviv a salvarla se le loro esistenze fossero minacciate. Fa male soprattutto osservare questa pericolosa confusione di motivazioni storiche: la Shoah fu il prodotto di un millennio di pregiudizi che prendevano di mira l'ebreo errante, sradicato da ogni radice territoriale, che all'apice dei nazionalismi rappresentava una contraddizione insanabile, da estirpare alla radice; se di antisemitismo nel popolo arabo dobbiamo parlare oggi, è evidentemente il frutto di un processo esattamente opposto, ossia la nazionalizzazione forzata di quegli ebrei che hanno voluto seguire la perniciosa idea del ein Volk, ein Land, ossia che l'unico modo che un popolo ha per sopravvivere sia attraverso una realtà politico-istituzionale di tipo statuale. Due fenomeni opposti, due motivazioni storiche diverse per due processi del tutto non comparabili. In questa confusione ideologica vedo la più grande minaccia che la civiltà ebraica deve affrontare nel secolo attuale.
Da qualche anno sono convinto che questa degli ebrei, di Israele etc. è anche o addirittura soprattutto una tragedia lessicale. Quando si moltiplicano le dimensioni di un concetto, bisognerebbe sempre avere l'accortezza di moltiplicare anche le parole che usiamo per definire tutte e ciascuna di quelle dimensioni. Ad oggi, che io sappia, l'unica parola che designa contemporaneamente una religione, un'etnia, un popolo, una lingua, una cultura, e anche una cittadinanza è proprio il lemma ‘ebreo’.
Da qui l'ambiguità, il malinteso, la corsa all'interpretazione più ampia e pura e violenta; la tragedia.
Talvolta è dolce crogiolarsi nell'ambiguità, nella poesia, nell'alveo poroso dei concetti indefiniti. Eppure, per amore del cielo: disambiguàte, ogni volta che potete.
Abbandonare il latte per iniziare a fare colazione con lo yogurt sancisce la menopausa degli uomini.
“Uomini e parole si educano reciprocamente” (C.S. Peirce)