Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
La gelateria fuori dagli orari di punta è un posto pieno di tenerezza. Lontano dai momenti in cui si riempie di stronzi - perlopiù noi giovani stronzi -, specialmente quando sia munita di qualche sedia all'esterno, o sia vicina a una piazzetta con le panchine, la gelateria è un nido estivo per persone sole, o coppie di mezza età, o coppie di anziani, o coppie di anziano più badante. Persone non frenetiche, persone che si alzano dal letto sapendo che sia il peggio sia il meglio delle loro vite sono verosimilmente già passati; persone che sanno essere felici, o almeno contente - perché il gelato è sicuramente l'apice della contentezza della giornata - stando in silenzio. Quindi stanno lunghi quarti d'ora seduti lì, fuori alla gelateria, in silenzio. Anche perché il gelato, per la sua natura fugace, si mangia in uno stato di silenzio e di rapimento, di raccoglimento. Ente quasi magico, in misteriosa transizione di fase, il gelato è la farfalla degli alimenti e forse anche per questo, insieme alla dolcezza e all'economicità, rappresenta per molti una coccola a buon mercato, un regalo che ci si può fare ogni giorno che il tempo è bello.
Sono settimane che rimando questo argomento, affrontiamolo oggi così evitiamo di parlare della (bellissima) pubblicità dell'Esselunga.
Parliamo della trasparenza sugli stipendi, o salari. Innanzitutto una nota lessicale: avete notato l'abisso di significato che c'è tra 'stipendio' e 'salario'? Nella mia testa è evidente: salario è una cosa oggettiva, distante, argomento politico che al più tocca alcuni disgraziati nei telegiornali; lo stipendio invece è quello che mi entra in tasca, sul conto, la linfa vitale, l'evento più atteso del mese.
Dunque, la notizia è che l'UE ha deciso che ci deve essere molta più trasparenza salariale, anche nelle aziende private. Ogni stato membro deciderà poi le regole effettive, non è ancora chiaro per esempio se si potrà chiedere alla tizia delle risorse umane la RAL esatta di chi ti pare, però il succo è questo. Ovviamente la cosa muove dal solito, sacrosanto motivo di disparità salariale tra uomini e donne, ma è una cosa talmente giusta per tutti che ci interessa poco.
Parliamo di quello che ci interessa di più. Perché non ci diciamo quanto guadagniamo? Lo ripeto perché forse alcuni fanno finta di non capire:
Perché io e te, che siamo migliori amici, ci conosciamo da una vita, sai anche tutti gli ex-fidanzati di mia sorella, perché non mi dici quanto guadagni - e viceversa?
Credo ci siano due concause, una più riconosciuta da tutti, l'altra più ambiziosa. Il primo motivo è che i soldi sono per loro natura un fatto imbarazzante, ambiguo, poco pulito. Hai voglia a dire che ormai viviamo nel capitalismo calvinista etc. etc.: per fortuna questo non è vero, le nostre zavorre primordiali ci tengono ancora ben paludati nella morale cattolica, addirittura al ristorante o al bar ogni tanto offriamo ancora quindi ci teniamo anche tutto l'imbarazzo che avvolge lo sterco del demonio. È così, lo sarà ancora per qualche millennio, pace. E questo era il motivo facile.
Poi c'è un motivo più profondo che metterei giù così, per rompere il ghiaccio:
la RAL è il migliore indicatore sintetico del valore globale di una persona.
Potrei adesso mettere una serie di mani avanti per ridimensionare questa affermazione, dire che non è sempre vero, che c'è quell'amico vostro che è intelligente però etc. etc. e sono tutte cose verissime, ma ormai ci conosciamo quindi non c'è bisogno di fare complimenti e andiamo dritti ai punti caldi.
Avete mai pensato a quanto è assurdo che esista una scala, credo l'unica, con la quale possiamo misurare tutte le persone del mondo? Certo, ce ne sarebbero altre: il peso, l'altezza, etc. ma non sono così lineari, non è che se pesi 400kg sei più fico di uno che pesa 80, o se sei alto due metri e 40 sei più bello di uno alto uno e 70. Sono scale relative, che hanno bisogno di essere pesate su altre cose, fattori culturali, fisiologici. Invece la RAL no. Tutti vorremmo guadagnare più di quello che guadagniamo, non c'è un numero a cui diciamo "Ok, basta grazie, altrimenti poi mi sento male".
Altra cosa bella della RAL è che non tiene conto del patrimonio familiare. CERTAMENTE, amici un po' ottusi del primo anno di filosofia, certamente il contesto familiare pesa moltissimo nella carriera delle persone, grazie, lo sappiamo tutti. Però concettualmente, a livello di formula, la RAL è quanto tu, in quel momento della tua vita, anzi più precisamente in quell'anno, vali. Ed è una valutazione anche piuttosto ricca, al di là della limitatezza che attanaglia ogni modello: la RAL non tiene conto soltanto della variabile a cui tutti pensiamo quando parliamo di valore umano, la presunta "intelligenza pura". Il reddito infatti può premiare una galassia poliedrica di caratteristiche: la paraculaggine, la capacità di adattamento in ambienti lavorativi variegati, l'abilità nel trovare la "svolta", il posto dove si fa poco e si guadagna bene, la concretezza di mettere a segno la zampata per ottenere la promozione, la sopportazione nel leccare i culi. Tutti elementi positivi o almeno evolutivamente vincenti, sul posto di lavoro quanto nella vita in generale - per quanto possa dispiacere al nostro fanciullino liceale interiore.
(riguardo la componente ereditaria della RAL: ogni tanto con un amico economista pensiamo di creare un nuovo indicatore più woke che calcoli una RAL pesata sul patrimonio familiare, che concettualmente sarebbe giusto, però dopo cinque minuti ci sentiamo come quelli che dicono che l'economia globale deve smettere di guardare alla crescita del Prodotto Interno Lordo e deve prendere in considerazione gli indicatori di felicità).
Il discorso sarebbe lunghissimo e molto più ricco, poi un'altra volta ne parliamo meglio (ormai avrete capito che questa frase non ha nessun valore reale, è un mio modo per esorcizzare la freccia infame del tempo).
Però, ecco, tornando alla domanda iniziale: non ci diciamo quanto guadagniamo (anche) perché abbiamo paura di svelare quanto valiamo. Perché abbiamo paura di inchiodarci davanti agli altri col nostro chiodino di soli tot kappa.
Teche:
Alla fine il discorso del gelataio è comprensibile. Se tu cliente sei all'altezza della sfida posta da un dispositivo folle come il cono, con paratie e argini minimi e anzi già sommerso al momento della vendita da palle in passaggio di fase la cui proiezione a terra eccede grandemente quella consigliabile, se puoi affrontare tutto ciò allora hai ben diritto al bonus del materiale cialda. Se invece, per motivi personali anche temporanei, non te la senti e preferisci mangiare in una scodellina dignitosa, magari anche con uno strumento per avvicinare il cibo al cavo orale e non il contrario, e vuoi permetterti di distrarti o respirare durante l'atto senza dover incorrere in conseguenze socialmente penalizzanti, cioè non più dell'ammissione già insita nella coppetta, allora rispettiamo la tua scelta conservativa ma a quella geometria fraccomoda corrisponderà un materiale non edibile, la carta plastificata.
Risponde allora il tecnoentusiasta automatizzato: ma è vero che in futuro avremo tutti e due i vantaggi insieme, magari anche gratuitamente?
Ribatte il gelataio: può sparire la guerra?
Faccio una cosa da navigato podcaster ma la questione mi interessa veramente: se pensate ci siano altri motivi per cui ci vergogniamo di parlare di stipendi, scrivetemi a vittorioray1@gmail.com