Tuffi/18
Tennis ultratrentenne, destra sportiva, famiglia cristiana, Francesco Palmieri, sport non competitivo
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
C'è qualcosa nel tennis. Non so voi, ma io ho moltissimi amici che non hanno mai giocato a tennis da piccoli e che da qualche anno, appena superati i 30 anni, si sono appassionati al tennis. Sia giocato che seguito. Ho una teoria.
Il tennis è la sfida perfetta con cui vuole misurarsi il trentenne all'apice del suo capitalismo interiore, nel decennio d'oro della sua onnipotenza.
I trent'anni sono, in questo luogo e in questo tempo, un momento peculiare dell'esistenza. Se le cose vanno bene, a trent'anni si inizia ad avere una certa stabilità economica, si può uscire dalla casa genitoriale talvolta anche con un certo agio. Non si è più neoassunti, ci si toglie qualche soddisfazione, si iniziano ad avere delle responsabilità. Se le cose vanno proprio bene si inizia a costruire la propria casa, la propria famiglia. È forse l'ultima e più importante fase espansiva della vita. Il fisico dà i primi segni di cedimento, e tuttavia è presto per mollare, anzi tutti consigliano di fare attività. Ma a trent'anni iniziare uno sport di squadra è impossibile: il trentenne fortunato è all'apice dell'insofferenza verso il prossimo. Sta assaporando il gusto della prima intolleranza, non tanto fisiologica (la spigolosità naturale degli anziani) ma piuttosto voluta, decisa. I primi vizi, le prime volte in cui lamentarsi del servizio del cameriere al ristorante. Insomma, a meno di avere avuto una solida educazione giovanile allo sport di squadra, adesso desidererebbe stare da solo. Anche per confermare a sé stesso che non ha bisogno di altri. Ancor di più, per misurare esattamente il peso del suo valore individuale rispetto agli altri. Sarebbe banale dire che il tennis a trent'anni è una seduta di psicoterapia aerobica, e in effetti c'è di più. Non serve necessariamente essere 'irrisolti', è che nei trentenni fortunati e solitari c'è un'eccedenza di individuo, e il tennis offre ancora una narrazione, una mitologia, un prestigio sociale all'altezza di questa necessità di sfogo e sfida.
Lo sport è entrato in Costituzione. Cito dal sito del Dipartimento per lo sport:
"La Camera ha approvato all’unanimità la modifica all’art. 33 della Costituzione introducendo il nuovo comma «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme»."
Brevemente, poi magari ci torniamo un'altra volta: lo sport è l'unico valore/contenitore di destra che è ancora possibile perseguire all'interno dell'Occidente. Ed è anche un contenitore amplissimo al quale si possono ricondurre quasi tutte le battaglie culturali e ideologiche della contemporaneità. Due anni fa, estate 2021, c'era stato un tentativo di assalto all'agonismo tramite l'episodio di alcune tenniste professioniste che si erano ritirate dal torneo che stavano giocando, molti giornali parlavano della fragilità degli sportivi. Poi però l'assalto è sfumato. Sta di fatto che tramite lo sport si può parlare di tutto: rimarcare la differenza tra generi (le uniche femministe della differenza che oggi hanno cittadinanza nel dibattito sono quelle che parlano dell'ingiustizia dei trans nello sport); parlare di valori come la forza, il sacrificio, il rispetto della gerarchia, la naturalità dei talenti, l'importanza della maglia e/o della bandiera, l'importanza delle regole. Tutti discorsi che si possono fare oggi solo nello sport, perché applicati ad ogni altro ambito vengono immediatamente ricondotti a qualche forma di intolleranza, passatismo, sciovinismo, fascismo. Insomma: se fossi un politico di destra, oggi, abbandonerei tutti gli altri campi del dibattito (semplicemente perché sono impraticabili da destra) e farei un programma politico partendo da un'unica piattaforma, un gigante cavallo di Troia pieno di altre armi: lo sport.
Rassegna stampa/1: “Papa Francesco e la famiglia, Una radicale carità pastorale” di don Bruno Forte, pubblicato domenica 17/09/’23 su Avvenire (link all’articolo). Di cui riportiamo un estratto:
Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove s’impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende a essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» (Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, 66). Alla radice di questi fenomeni si trova spesso un’idea della libertà concepita non come capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, tesa unicamente al proprio benessere.
Rassegna stampa/2: “Il corno e la pistola. La morte di Giogiò Cutolo, ucciso da un paranzino”: un articolo stupendo di Francesco Palmieri, uscito sul Foglio sabato 16/09/’23, a commento dell’ennesimo ragazzo ucciso a Napoli. Purtroppo non ho il pdf e l’articolo sul sito è dietro paywall; mi rendo conto che è una segnalazione un po’ inutile ma lo volevo segnalare comunque.
Teche (agosto '21):
Ci stanno arrivando. Sul Time e su tutta la stampa internazionale che piace sono abbondati editoriali sulla fragilità degli sportivi che perdevano o si ritiravano, “It's ok not to be ok”, etc.
Redfish, canale instagram di quella che 10 anni fa si chiamava 'controinformazione' (e su alcuni argomenti, come spesso accade, fa un lavoro utile) sta finalmente mangiando la foglia: “sports are about competition, and about pushing people to their limits.”
L'Italia, come sempre miracoloso anello di congiunzione tra economie sviluppate e una sana arretratezza mentale, rimane su soddisfatti elogi delle vittorie e (dolcissima novità) misurate e oneste analisi delle sconfitte.
In ogni caso, visto il ritmo a cui avanza la nevrosi occidentale e la sua presa di distanza dalla realtà, è difficile pensare che le Olimpiadi di Parigi2024 si potranno disputare con le regole di sempre. Nella migliore delle ipotesi nasceranno nuove categorie intersezionali (200 metri piani uomini orfani sovrappeso che vanno dallo psicologo), oppure verranno assegnati handicap per bilanciare i privilegi. Nella più radicale, le Olimpiadi diventeranno una bellissima festa dello sport non competitivo, senza vinti né vincitori, né record né tempi né misure registrate, in cui ognuno possa esprimersi esattamente per quello che è in quel momento, coi suoi limiti e le sue debolezze, e tutti ne saremo contenti e ci abbracceremo.