Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Barbie. Spero di non spoilerare, chi vuole essere sicuro salti comunque avanti. Film brillante e per un grande pubblico, attori bravi, protagonisti bravissimi, colonna sonora molto bella (sto molto sotto al tema principale di Billie Eilish, What was I made for).
Ci sarebbero sempre i due soliti problemini del femminismo in questa sua fase matura, quasi avida ma finalmente ben chiara e affrontabile, da pari a pari, senza nascondigli. Il problema dei modelli e il problema dell'autosufficienza.
Modelli: come tutta l'ultima ondata di femminismo, anche il film di Barbie (sì, esatto, proprio Barbie) cerca di distruggere l'idea dei modelli, tanto estetici quanto morali/relativi a tutta la personalità (le ambizioni delle donne, le aspettative sulle donne, etc.). Ci sono almeno due spiegoni espliciti durante il film, più tutto il casting diabolicamente studiato, le Barbie coi corpi-non-conformi, etc. Questa cosa dei modelli è un po' scivolosa ma tutto sommato chiara. Esistono modelli più o meno sani, condivisibili, raggiungibili: su questo, almeno in piccola parte, forse si può lavorare come società. Quello che non si può fare è invece sopprimere definitivamente la tendenza umana di desiderare, cioè tendere a qualcosa (che ancora non si è/ha), e nello specifico tendere a qualcosa di migliore, e quindi a possedere delle categorie di discernimento e di valutazione del mondo. Questa valutazione non può prescindere delle idee di bellezza, bruttezza, forza, debolezza, intelligenza, etc. D’altronde l’esistenza stessa dei modelli nasce dall’esigenza del pubblico che guarda di ambire a qualcosa. Tra gli animali non ci sono modelli, c’è semplicemente chi nasce forte e chi nasce debole. I modelli esistono solo tra umani, cioè tra soggetti che percepiscono di avere una volontà e la capacità di modificare - almeno parzialmente - sé stessi e il loro destino. Per questo li creiamo: per ricordarci come vogliamo diventare.
Tornando all’abolizione dei modelli - o all’imposizione velleitaria e truffaldina di modelli inappetibili, per confortare temporaneamente certe lobby o per spegnere il desiderio dei pigri di migliorarsi -, come già detto miliardi di volte, questo tentativo di sfuggire alla inesorabile gerarchia della realtà rende questa ondata di femminismo una costruzione - almeno sotto questo aspetto - scricchiolante, poco seria; le aziende di moda che poi cercano di inzupparci il pane, mettendo la modella grassa (casualmente sempre con lineamenti del viso bellissimi) o quella con la vitiligine su tre metri di gambe, sono invece esempi di duttilità mentale e di grande astuzia del capitalismo.
Nota lessicale: strano che ancora non ci sia stata una moratoria contro il termine "modelle", a favore magari di qualcosa di più neutro tipo "indossatrici". Siamo un po' in ritardo?
Autosufficienza: il film insiste, più o meno dall'inizio alla fine, sul fatto che Ken deve imparare a bastare a sé stesso, senza dipendere ossessivamente dalle attenzioni di Barbie. Barbie concede che possono essere amici, ma sottolinea che lei non è innamorata di lui e questa cosa ha un valore quasi globale (come d'altronde la stessa Barbie, che nel tentativo di moltiplicare le sue identità vorrebbe inglobare e rappresentare tutti i modelli giusti di come bisogna essere donna). Questo messaggio del bastare a sé stessi, concentrarsi su sé stessi, mi pare talmente assodato nella nostra società da essere un po' in ritardo, addirittura un po' regressivo. Sono disposto a concedere che in alcune zone d'Italia, o anche del mondo, c'è ancora molta educazione all'autosufficienza da fare, tanto agli uomini quanto alle donne. (Sto pensando alla provincia del sud Italia, ai quartieri più crudeli di Napoli, dove l'identificazione dei singoli con la coppia è morbosa e può portare alle cose che leggiamo sui giornali). Ma è veramente quello il pubblico medio che andrà a vedere Barbie, o siamo piuttosto noi persone semicolte delle grandi città? E abbiamo, noi, davvero ancora bisogno di qualcuno che ci inviti a non ritenere nessun altro indispensabile a parte noi stessi? L'iconico spot della Vodafone con Megan Gale, "è tutto intorno a te", è del 2005. Non sono bastati 18 anni per farmi capire che sì, ok, è tutto intorno a me singolo individuo, tutti gli altri sono comparse più o meno stabili al quale comunque non devo legarmi troppo perché a loro volta altri ologrammi di Megan Gale hanno detto di non legarsi, perché la realizzazione e la felicità sono faccende interne, personali, e nessuno verrà a portarcela su un vassoio? Ripeto: ovviamente questo è anche un po' vero, ma nella vita quasi perfetta (per quello che la storia ci lascia vedere) di noi occidentali l’obiettivo non è più solo dire una verità, bensì tenersi costantemente in equilibrio sul filo delle tante verità dell’esistenza. Abbiamo davvero ancora bisogno di altri 50 anni di individualismo? Il prossimo film di Barbie non potremmo farlo invece su quanto è bello votarsi alla moglie, al marito, a un amico malato, al prossimo, a una squadra di pallone, a qualcosa fuori da sé stessi?
Postilla tecnologica: una grande paura che ho è che questa guerra tiepida, che per ora non è ancora dichiarata perché molte donne ancora sentono il desiderio di riprodursi, amare gli uomini etc. e quindi a un certo punto della vita voltano le spalle a questo femminismo così arrabbiato e monadico, possa fare un salto di qualità quando la tecnologia renderà possibile la riproduzione asessuata e completamente meccanizzata. Non ho nessuna informazione tecnica, ho quasi paura a cercare, ma a occhio non credo manchi molto - direi nell'ordine dei decenni. A quel punto le ipotesi sono due: o sarà guerra frontale, come specie separate che non traggono più nessun vantaggio evolutivo nel cooperare e cercano di ammazzarsi; oppure sarà la volta buona in cui capiremo che, al di là della riproduzione, siamo proprio fatti per stare gli uni con le altre, e allora rinunceremo a tutte le piccole o grandi ingiustizie quotidiane, maschiliste e femministe, non avremo più leve biologiche con cui microricattare l'altro, e sceglieremo di amarci ancora più liberamente.
Dipenderà dall’egemonia culturale/affettiva con cui arriveremo al momento di singolarità tecnologica.
Feeling blessed / feeling grateful
Ormai è un quotidiano imbattersi in queste frasette, immancabili didascalie instagrammiche. Con quel sentore di generica trascendenza, quel tenue filoteismo talmente tenue che non è manco orientaleggiante. Ma benedetta da chi? grata a chi? Con chi ce l'hai? Col sole a cui fai il saluto la mattina? Con le cascate sullo sfondo della foto? Ma iscriviti a un monoteismo come tutte le persone normali, oppure abbi il coraggio di guardare il nulla in faccia, senza queste gratitudini pelose ed egolatriche ché manco sai cosa stai scrivendo.
Dai sto scherzando. Però ogni tanto sarebbe bello fare un'intera newsletter scritta col tono di un incel. (Incel, ricordiamo, ultima categoria ancora capace di soffrire e quindi di analizzare lucidamente il mondo). Magari più in là.
Come omaggio al regista che a 19 anni più ci piacque, con filmetti romantici e di formazione, pubblichiamo questo estratto di intervista a Richard Linklater. Uno stralcio non particolarmente acuto o rivoluzionario, ma anzi proprio per questo perfettamente in linea coi suoi film: poco assertivi, pieni di dubbi, onesti, buoni. Buoni. Guardi un film di Linklater e dici proprio: che persona buona dev'essere Linklater. Se potete, tornate adolescenti e guardatevi tutta la sua filmografia.
Hollywood Reporter:
"Lei è un pioniere del cinema indipendente americano. Pensa che una carriera come quella che si è ritagliato e di cui ha goduto nel corso degli anni sia ancora possibile? Come vede lo stato attuale della cinematografia americana dopo la pandemia? "
Richard Linklater:
"Sembra che sia andato via col vento - o con l'algoritmo. A volte parlo con alcuni dei miei contemporanei che ho conosciuto negli anni Novanta e diciamo: "Oh mio Dio, non potremmo mai farlo oggi". Quindi, da un lato, egoisticamente, si pensa: "Credo di essere nato al momento giusto. Sono stato in grado di partecipare a quella che sembra sempre l'ultima epoca positiva per il cinema". E poi speri in un giorno migliore. Ma, cavolo, il modo in cui la distribuzione è crollata. Purtroppo, la colpa è soprattutto del pubblico. C'è una nuova generazione che apprezza davvero il cinema? Questo è il pensiero più cupo.
Ho una società cinematografica e mi imbatto in tanti ragazzi giovani, amanti del cinema, che hanno Criterion Channel e guardano tutti i tipi di film più belli. Ma so che, culturalmente, si tratta di un'eccezione. Temo che non ci sia una massa critica sufficiente nella cultura per sostenere quanto è stato. Ma chi lo sa? Non credo di avere un'analisi più approfondita di quella di chiunque altro, e non è nella mia natura fare grandi dichiarazioni sul fatto che sia tutto finito. Sento solo che stiamo tutti galleggiando e sperando di non affogare. Sono certamente tempi difficili.
Con una cultura e una tecnologia in continua evoluzione, è difficile che il cinema torni a occupare la posizione di rilievo che aveva un tempo. Credo che si sia avvertito quando hanno iniziato a chiamare i film "contenuti", ma è quello che succede quando si lascia che i tecnici si impadroniscano del settore. È difficile immaginare che il cinema indie in particolare possa avere la rilevanza culturale che aveva. È difficile immaginare che l'intera cultura sia concorde su qualcosa, tanto meno sulla cinematografia. Possiamo essere egocentrici e dire che si tratta solo di cinema, ma in realtà si tratta di tutta la nostra vita culturale moderna. Si potrebbe dire la stessa cosa della lettura dei libri. Molti giovani non riescono a leggere un libro, perché stanno al telefono.
Alcuni cittadini veramente intelligenti, appassionati e bravi non hanno più lo stesso bisogno di letteratura e film. Non occupano più lo stesso spazio nel cervello. Penso che sia solo il modo in cui abbiamo consegnato le nostre vite, in gran parte, a questo fenomeno che esaurisce il bisogno di curare e riempire di significato l'arte e i mondi immaginari. Questo bisogno è stato colmato con - ammettiamolo - sistemi avanzati di distribuzione della pubblicità. È triste, ma cosa si può fare? Non voglio nemmeno vivere la vita pensando che i nostri giorni migliori siano ormai alle spalle. Non è produttivo. Quindi, nel tuo settore, devi solo perseverare e fare ciò che puoi a favore delle cose in cui credi. Bisogna credere che tutto possa cambiare e che le cose possano tornare ad essere un po' migliori. Non è forse questo che vogliamo tutti per ogni cosa al giorno d'oggi, dalla democrazia in giù? Non possiamo tornare a essere un po' migliori?"
[intervista integrale qui, traduzione gentilmente offerta da Alberto Borghesani, mio amichetto di fb]
Per chi è cattolico o si riconosce nel genere del cattolicesimo, o anche per mera curiosità laica. C'è una pagina caruccetta di divulgazione catt. che si chiama "sale salato". È il nome più bello e intelligente che una pagina cattolica potesse avere.
Teche:
In circostanze ballerine, e a parità di scarsa dimestichezza col ballo, le persone di destra cercano di muovere le braccia mentre le persone di sinistra si concentrano sulle gambe. Due esempi pratici: nelle discoteche standard, luoghi di centrodestra/destra, chi non vuole farsi vedere immobile muove le braccia, il che significa una maggiore mascolinità (muovere le braccia è in fondo un rivendicare distanza dal ballo, attività femminile, e limitarsi a mostrare "per analogia" la propria capacità di menare) oltre a implicare un minor dispendio energetico (diventando adulti e poi anziani ci si destrizza nel fisico e nella mente, com'è noto); un esempio opposto, e forse meno diffuso nell'esperienza del pubblico, ci viene dai rave/serate di elettronica progressista in cui c'è sempre qualche giovane di estrema sinistra, con pantaloncini molto corti e cosce da scalatore/passeggiatore, che si lancia in quei velocissimi e molto sudoriferi saltelli che in inglese rientrano nella grande etichetta 'shuffling'.
Probabilmente questa differenza prossemica non riguarda solo il ballo ma molte altre sfere della cinesica in generale, e ha implicazioni che eccedono i confini di questo scritto e che qui possiamo solo congetturare: i fascisti preferiscono fare a pugni mentre i compagni danno i calci; la forza patriarcale si concentra nella mano mentre lo sforzo proletario riguarda una fatica integrale, che parte dalle gambe; la destra è spiritualmente T mentre la sinistra e il progresso sono C; etc.