Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Attualità: Francesca Bria dice che abbiamo bisogno di un Twitter europeo. L'idea è giustissima per mille facili motivi agli occhi di ogni cittadino onesto, quindi non ci dilunghiamo oltre e parliamo invece di Francesca Bria (da qui in poi FB).
FB è una delle superstar silenziose della classe dirigente italiana. Romana, classe 1977, andava al Mamiani (il liceo dell'eccellenza di sinistra) e in quegli anni era fidanzata con Libero De Rienzo (attore di Santa Maradona nonché regista di quel piccolo capolavoro che fu Sangue - La morte non esiste) (recuperatelo in un pomeriggio agostano).
Insomma, FB cresce già con la stellina sulla testa. Poi si laurea alla Sapienza in cose fricchettone (Economia dell'innovazione), fa un dottorato all'Imperial College e diventa un'esperta di quell'incrocio tra media, innovazione e attivismo. Potremmo chiamarle "Scienze seattliane applicate" in onore di Seattle '99. Ecco, Francesca è la crema di quel movimento, al punto che nel 2016 viene chiamata dalla sindaca di Barcellona Ada Colau a fare l'assessore al digitale. Questo forse è uno dei passaggi che più mi emozionano: esiste un network europeo di supertecnici fricchettoni cazzutissimi, e da questo network la sindaca di una delle città più all'avanguardia d'Europa si va a pescare una straniera, mamianina doc, e le affida la digitalizzazione della città.
Finito l'incarico, FB va ancora avanti e diventa presidente del Fondo nazionale per l'innovazione, un pezzo di Cassa Depositi e Prestiti, e membro del CdA Rai.
Cosa avrà in serbo per lei il futuro? Vedremo. Intanto siamo pronti a iscriverci al Twitter europeo.
Non voglio fare troppo il rètore eristico, ma è difficile sopportare le mode intellettuali e paternalistiche del ceto medio, e questa cappa noiosa e asfissiante genera spesso almeno il desiderio di esercitare il pensiero opposto. Quindi ora proverò ad offrire degli spunti (ancora non organizzati, magari più in là potrei scrivere qualcosa di più completo) in difesa di una delle cose più dileggiate in questo periodo: il turismo di massa. (poi un giorno faremo lo stesso esercizio con la gentrificazione, ma una cosa alla volta).
viaggiare è ormai innanzitutto una moda, e per ogni democratico deve essere giusto che più persone possibile possano partecipare alle mode.
poter dire di essere stato in un posto, durante una cena, è un gesto emancipatore. Io avevo un amico molto benestante che appena conosceva una persona, soprattutto una ragazza, le diceva: "Beh, sai, io ho vissuto un mese a Sydney". (ovviamente ci era andato in vacanza). Ecco, essere andato a Sydney ti mette all'altezza del ricco che ci è stato. I viaggi sono attualmente il più diffuso argomento di conversazione, provare a tagliare fuori i poveri da questo argomento è un gesto - quantomeno - reazionario.
il turismo ormai è una cosa talmente frequente e diffusa da poter diventare anche un modo per educare le classi sociali più umili nelle cd. best practices. è un'occasione imperdibile per far esercitare la cittadinanza in un momento di relativa permeabilità (la coppia di poveri che va in vacanza sarà più aperta a imparare nuove pratiche di civiltà), per tenere unita l'umanità, sia all'interno di una nazione, sia tra nazioni diverse.
una volta ero in Cina (sì, anche io sono ricco) (scherzo, ero andato con l'università) e stavo visitando la muraglia, in un punto vicino Pechino. Ho visto questa coppia di cinesi che si faceva fare una foto ricordo. Lui aveva una faccia irrimediabilmente cupa, la cupezza della fatica; anche lei era molto seria, ma nell’attimo dello scatto era riuscita a raccogliere le forze e a produrre un timido sorriso. Non so nulla di loro, gli ho solo fatto questa foto.
Sembravano a tutti gli effetti turisti interni, venuti da una provincia sperduta a vedere almeno una volta nella vita una cosa gloriosa del loro paese di cui sentivano parlare da sempre. Mi sono fatto un film dolcissimo in testa, un possibile film di Ken Loach. Una coppietta di poveri contadini che attraversa la Cina con questi abiti semplici e dignitosissimi per farsi una foto sulla muraglia e appenderla al centro della cucina. Ecco, pensare che per stare più larghi noi c'è il rischio che non possano più venire loro, sulla muraglia o al Colosseo o a Venezia, non lo so, bisogna essere crudeli.
c'è un problema di vitalità dei centri storici, o di impatto ambientale o qualsiasi altro problema? Bene, lo affrontino le città, gli stati, i regolatori. La bussola deve essere che le città devono rimanere non tanto vivibili ma vissute dalla cittadinanza, la quale deve restare il punto centrale e vitale del turismo - anzi questo deve essere sempre di più l'obiettivo: la popolazione locale faccia parte del turismo, cioè il turismo non sia visto come un corpo estraneo e generatore di problemi, ma una parte della vita locale e una risorsa. Esempio: redistribuiamo parte degli utili del turismo a tutti gli abitanti del quartiere. [La sto facendo troppo facile? Sì, ma avevo detto che non sarei stato sistematico]
il lamento passivo-aggressivo e snobbetto 1.0 contro il turismo di massa non è più divertente né tollerabile. Chi ha qualcosa da dire provi a dirla in modo serio, rendendosi conto delle implicazioni a cui arriva. Ad esempio, ricordiamo che la nostra costituzione all’art. 16 recita così:
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
P.s.: qualcuno sostiene che ci sia una sostanziale, qualitativa differenza tra turismo e viaggio. Magari anche alludendo - senza neanche un po’ di fisiologica vergogna - alle proprie esperienze da avventuriero esploratore.
Amico viaggiatore-assolutamente-non-turista, dobbiamo purtroppo darti questa notizia: da quando ci sono le carte di credito, questa differenza non c’è più.
Sulla rivista Machina è uscita una mia recensione del libro "Fine della fine della storia". Parla del fatto che la storia non è finita, come sosteneva Fukuyama, dopo il crollo del muro di Berlino. Io non so se sono d'accordo, o meglio: magari non è finita la storia, ma se l'uomo è sempre lo stesso, alcuni livelli della storia (ad esempio la forma di governo) possono più o meno ‘esaurirsi’, cioè possono convergere in una direzione molto specifica senza riservare grandissime sorprese o nuove tappe radicalmente diverse. Faccio un esempio: se noi esseri umani continueremo ad avere questa lingua in bocca, la Nutella sarà grossomodo la cosa più buona che possiamo poggiare su questa lingua. Poi magari inventeranno una Nutella ancora migliore, ma sarà comunque molto simile a questa, un mix di nocciole cacao e addensanti. Sarei molto sorpreso se invece tra dieci secoli la crema spalmabile più diffusa fosse una cosa all'amaretto, o all’anice.
Se vi interessa, la recensione è qui. (purtroppo non si parla di Nutella).
P.p.s.: ad agosto vado a fare il turista di massa in Kirghizistan, Kazakistan e Uzbekistan. Se qualcuno ha delle chicche imperdibili da suggerire, la mia mail è vittorioray1@gmail.com . Grazie. Buon turismo anche a voi.