Tuffi/108
Praevaluerunt, requiem per combattenti vivi, tempo pagano e tempo cristiano, Vincenzo Latronico
Questo è Tuffi! Demordiamo.
Io sono Vittorio Ray, questa è Tuffi, la newsletter de Il Tuffatore.
Questa introduzione circolarmente didascalica e morettianamente autoreferenziale è un tentativo di SEO, se vuoi ti puoi iscrivere qui sotto.
Praevaluerunt. Oggi Tuffi va in onda in versione ridotta. Il mondo ci cambia sotto i piedi, non c’è argine alla catastrofe, e la tristezza per gli eventi è superata solo dal terrore/auto-orrore che la sconfitta ci deprima e ci convinca un giorno a cambiare idea, a dover convivere col Piccolo Satana e farcelo andare anche bene. Saremo almeno in grado di ricordare cosa era giusto?
Siamo arrivati, ancora una volta, tardi e impreparati. Invitiamo ciascuno ad arricchire con pazienza il proprio uranio interiore.
Riprendiamo un pensiero del filosofo Valeria Finocchiaro, sulla recente iniziativa del quotidiano il Manifesto di dedicare un’intera edizione del giornale a Gaza.
Io penso che per la sinistra valga un'unica definizione universale e precisa: fare male le cose giuste. Ora a parte il referendum, sconfitta totale già annunciata, veniamo a questo numero del Manifesto. Da settimane il Manifesto spingeva il numero di venerdì scorso interamente dedicato a Gaza, con tanto di ricavi in donazione ad associazioni umanitarie eccetera. Ho pensato: benissimo, finalmente, non vedo l'ora di leggerlo. Cosa ci troviamo dentro? Cronaca delle ingiustizie subite dalle povere vittime palestinesi, racconti delle efferatezze dell'esercito israeliano. Fine. Tutto un numero strappalacrime così. Ma è mai possibile parlare di quello che succede a Gaza senza parlare della resistenza palestinese? Senza parlare di Hamas, del suo radicamento tra il popolo, dei suoi limiti così come pure dei suoi meriti? È mai possibile che non solo la redazione del giornale, ma il popolo dei suoi lettori, non si rendano conto del suprematismo occidentale, del razzismo subdolo mascherato da altruismo, che si cela dietro le parole di cordoglio e solidarietà verso un popolo, quello palestinese, che tutto ha fatto tranne che rimanere inerme a subire soprusi? È mai possibile intitolare un intero numero di giornale "Questa è Gaza" ma senza dire una parola su "cosa è" Gaza?
In pratica i palestinesi ci piacciono solo quando sono indifesi e muoiono di fame, mentre quando si armano - poiché si armano in un modo che noi reputiamo sconveniente - non ci piacciono più. Ci piace letteralmente il nero da cortile di cui parlava Malcom X. Fortunatamente i palestinesi sono anche molte altre cose, ma a quelli del Manifesto non interessa sapere cosa. Certo, qua e là si fa riferimento al Bds e a una generica "resistenza palestinese", ma niente più di questo. Solo interviste a donne che piangono, racconti sui poeti non-violenti, la forza resiliente della musica e così via. Come se a una colonizzazione si potesse reagire in modo non-violento, come se i palestinesi avessero opposto alla violenza di Israele una pacifica non-violenza a suon di poesie e chitarre.
Veramente pessimo, un esercizio di filantropia astorica e consolatoria, buono solo per rassicurare le coscienze progressiste che vogliono sentirsi dalla parte giusta senza mai sporcarsi le mani con la realtà e con il conflitto. Un numero che riduce i palestinesi a vittime esemplari da compatire, non a soggetti politici da ascoltare. Un discorso che rimuove la storia, le tensioni interne, le contraddizioni della resistenza, perché troppo difficili da raccontare in una narrazione pulita e rassicurante. E così, invece di disturbare il lettore o di aiutarlo a capire o al limite di trattarlo come un adulto, lo si culla come un bambino a cui vanno nascoste le parti scabrose: niente Hamas (che esiste, che è radicato, che è stato eletto), niente Fronte Popolare, niente dibattito politico interno ai palestinesi, niente critica al collaborazionismo dell’ANP. Solo dolore, solo martirio.
Ma una causa che viene raccontata solo attraverso i corpi spezzati dei suoi caduti e non attraverso la voce viva dei suoi combattenti è una farsa e una presa in giro. E se questo è ciò che resta della sinistra in Italia allora è anche chiaro perché i suoi strumenti (il referendum, il giornale, la piazza) risultano ogni giorno più sterili.
Teche:
1. Il tempo dei cristiani è una linea: la storia inizia, le azioni hanno un peso, le cose cambiano, verrà la salvezza, etc. Tutti fatti che esistono nel tempo. Viceversa, il tempo dei pagani è un cerchio - eterno ritorno.
2. Il tempo nella testa dei maschi, almeno fino a una certa età e maturità, è un cerchio. In ogni piccola azione, piccola cena con amici, piccolo film al cinema, non si ha mai l'impressione di trovarsi in un momento unico e potenzialmente irripetibile. Molte cose che vorremmo dire o fare le rimandiamo alla prossima cena, alla prossima gita, perché ci saremo sempre tutti e niente cambierà. Rispetto agli uomini, il tempo nella testa delle donne è una linea (questione nota e già abbastanza trattata). Per le donne, è evolutivamente preferibile vivere di rimorsi (cosa sbagliata fatta) che di rimpianti (cosa giusta non fatta).
3. Il pacchetto di valori e obiettivi personali dei cristiani è già dato dalla tradizione e dalla comunità reale. Si aderisce a un sistema, magari si vacilla, si conferma, ma in linea generale - e fatti salvi i piccoli scismi interiori di ognuno - la retta è tracciata. Per i pagani contemporanei, tavole bianche almeno nella loro percezione più comune, è fondamentale poter scegliere liberamente il proprio destino tramite la cultura e le cd. esperienze. Costruisco/riscopro la mia persona, quindi i miei valori e i miei obiettivi personali tramite le esperienze, in un processo infinito e faticoso di continua autodeterminazione. Essendo la libertà il bene supremo, niente è più imperdonabile di aver alienato la mia libertà in nome di qualcosa che poi si sarebbe scoperto non corrispondere esattamente alla mia identità. Con queste premesse, prendere decisioni implica un rischio difficilmente accettabile. Per la teoria dei giochi del pagano, ha più senso vivere di rimpianti che di rimorsi.
Mettendo a sistema i tre punti sopra, si dimostra come le donne cristiane siano il sottoinsieme più pragmatico e fattivo (‘svelto’, si direbbe a Napoli) dei viventi.
“[…] I circoli ristretti incoraggiavano il pettegolezzo; il conformismo creava un sistema di aspettative da cui si sentivano oppressi. Fra quelle persone tutte identiche, tutte contente di restare nei giri di amici del liceo, Anna e Tom si sentivano mancare la libertà di essere sé stessi, cioè di inventarsi, cioè di essere diversi da sé stessi.”
Vincenzo Latronico, Le perfezioni, Bompiani, 2022